Delitto Tumino. Nessun elemento per riaprire le indagini

Verso archiviazione pista romanzesca indicata da lettera anonima 

(…) Parliamo dl un incubo che la coscienza ragusana si trascina da decenni: il caso Tumino-Spampinato. Ci sono i presupposti per riaprire l’inchiesta?

La riapertura delle indagini è codificata dal Codice di procedura penale che richiede nuovi elemnti. Ora, sul delitto Spampinato si e avuta una condanna ed è un caso chiuso. Sì, si potrebbe andare alla ricerca di altri scenari, ma è necessario che emerga una pista, che in questi due anni pero non si è avuta. Se precedentemente qualche pista c’è stata ed è stata valutata negativamente cosi doveva evidentemente essere. Quanto al delitto Tumino l’unica cosa nuova che mi è pervenuta è una ricostruzione degna di una fiction, che probabilmente è pure veritiera ma è assolutamente impraticabile. Qualcuno l‘ha veicolata attraverso una figura istituzionale. Si tratta un testo anonimo, scritto su carta leggera con una Lettera 22, che affida ogni prova alla memoria di persone morte. e quindi non verificabili. Continua a leggere

Giustizia e potere: Bilancia truccata

Il convegno dibattito di Siracusa

Qual è il ruolo della magistratura alla luce degli sviluppi giudiziari delle più gravi vicende politiche –  Il nesso fra potere politico e amministrazione della giustizia  – La repressione come strumento di governo

SIRACUSA, 19 SET 1972 – La giustizia può essere apolitica? Può il magistrato applicare le leggi ignorando ciò che avviene intorno a lui? L’incompatibilità fra politica e giustizia fu uno dei luoghi comuni più cari ai fautori del regime fascista.Ma in realtà non sfugge a nessuno che il magistrato che dichiara di non voler fare politica fa per ciò stesso una precisa scelta: applicando certe leggi (o scegleindo fra leleggi) opera una scelta conservatrice al servizio del potere dominante. E’ recente il caso di un pretore che non ha giudicato reato la ricostituzione del partito nazista perché la legge Scelba del 1952 non prevede il caso specifico del partito nazista!
   Sul ruolo della magistratura interrogativi e perprlessità sono sorti preoccupanti e frequenti negli ultimi anni. Le vicende collegate alla strage di Milano e al processo Valpreda, per citare l’esempio più clamorosoe politicamente più importante per tutte le implicazioni che esso ha comportato e comporta, hanno dato un duro colpo alla fiducia dei cittadini nella giustizia. La tragica fine di Feltrinelli, e le strane indagini sulle “brigate rosse”, che hanno portato ad arresti discutibili anche sul piano della procedura, dimostrano che fra giustizia e potere esiste un nesso preciso, e che in magistrati in ogni caso, anche nell’applicazione delle leggi contro i “reati comuni”, fanno una scelta politica; e il più delle volte essa è conservatrice.

   Più spesso questa scelta diventa costante applicazione di norme del codice penale fascista che sono in stridente contrasto con la Costituzione. Da qui per esempio la repressioen dei cosiddetti “reati d’opinione”.

   Il 2 dicembre di quattro anni fa avvenivano i tragici fatti di Avola. Per i due braccianti uccisi non c’è stata giustizia: il caso è stato archiviato. Sindacalisti e braccianti che avevano partecipato allo sciopero vengono denunciati per una incredibile serie di reati. Fra i denunciati vi sono pure tutti i lavoratori feriti dalle raffiche di mitra sparate dalla polizia.
  Da allora a Siracusa è un crescendo di iniziative repressive. Nel 1971 viene ordinato lo sgombero coattivodelle case occupate dai lavoratori disoccupati; contro di loro fioccano le aggravanti più strane.

  Il 1° maggio di quest’anno viene impedita una manifestazione organizzata dalla federazione anarchica. Si comincia a chidere con sempre maggiore frequenza la emissione di ordini di cattura per reati politici. Cominciano le incriminazioni per i reati di vilipendio.

   “Non è questa una maniera politica di interpretare le norme?”, si è chiesto l’avv. Umberto Di Giovanni, che ha illustrato le vicende giudiziarie degli ultimi anni nel Siracusano nella sua introduzione al convegno-dibattito “Giustizia e potere: dove va la magistratura” che si è svolto nei giorni scorsi a Siracusa.

   L’argomento ha suscitato vivo interesse, per la sua attualità e per la notorietà di alcuni dei relatori, fra i quali erano dirigenti “Magistratura Democratica”, e avvocati noti per aver partecipato a importanti processi politici, e l’avvocato genovese G. B. Lazagna, in libertà provvisoria dopo essere stato per 5 mesi in carcere perché ritenuto coinvolto nelle attività delle fantomatiche “brigate rosse”.

         “INDIPENDENZA” E VERITA’

   L’avv. Salvo Riela, deputato nazionale comunista, membro della Commisisone Giustizia della Camera, ha detto che con sempre maggiore frequenze si sente parlare di repressione, cioé di iniziative tese a conculcare la libertà dei cittadini prese dalla polizia e dalla magistratura per interesse della classe politica dominante.

   Tutto questo trae origine dall’esistenza di una legislazione non solo inadeguata, ma che difende dei valori che non sono più attuali nel nostro paese e nella nostra società, ma che riesce comoda alla classe dominante. Le lotte contadine e operaie sono costantemente contrassegnate da iniziative della polizia e della magistratura, per cui ad un certo numero di azioni sinadacali corrisponde immancabilmente un certo numero di azioni repressive. Il momento cruciale che abbiamo raggiunto negli ultimi anni – ha proseguito l’avv. Riela – possiamo localizzarlo intorno alle lotte studentesche e sindacali del 1968 e degli anni succesivi, che avevano obiettivi molto più avanzati di quelli del passato. Questo ha portato non solo a far crescere il clima repressivo esistente nel paese, ma ha fatto anche scoppiare all’interno stesso della classe dominante delle contraddizioni e dei ripensamenti. Anche all’interno della magistratura italiana si sono fatte strada tesi democratiche, ciò che non è stato indolore perché proprio dalla preoccupazione per questo nuovo corso preso da molti giovani magistrati ha preso vigore un’ondata reazionaria all’interno della magistratura stessa.

  L’avv. Riela ha proseguito parlando dele vicende connesse al processo Valpreda. “Subito dopo la strage di Milano le forze democratiche capirono che non era la pista anarchica quella che avrebbe portato alla scoperta dei responsabili delle bombe, ma che essi andavano cercati fra i fascisti. Ma la scelta operata da precisi settori della magistratura italiana ha allontanato per lungo tempo dalla ricerca della verità, e si è insistito in tesi insostenibili. Oggi la stessa cosa sta avvenendo con le vicende connesse alla morte di Feltrinelli, con i casi di Castagnino, di Lazagna, di Vittorio Togliatti, utilizzati come tappe di una marcia di avvicinamento alle forze della sinistra italiana”.

   Ha quindi preso la parola l’avv. Edoardo Di Giovanni del Comitato di lotta contro la strage di Stato, difensore di Lazagna e degli anarchici al processo Valpreda. “La strage del 12 dicembre è stato il punto più alto di una strategia della tensione e de che confermano come quelle indaqginil terrorismo, strategia che anche oggi si sviluppa non solo con un uso più scoperto dei fascisti da parte della classe padronale, ma anche di quelle istituzioni dello Stato che erano e sono complici. Oggi sappiamo sulle vicende connesse a quegli attentati e alle indagini che li seguirono episodi confermano come quelle indagini si siano svolte coscientemente su un solo binario.

   “E’ in corso un’inchiesta a carico del giudice Stitz, cioè del magistrato che ha portato alla scoperta della ‘pista nera’ che prima si era voluta ignorare. Una ragazza, contrariamente a quanto prevede lo stesso codice, è stata tenuta in stato di fermo per tre mesi per una sua presunta relazione con vicende delle ‘brigate rosse'”.

   “Il processo Valpreda ha dimostrato al di là di ogni dubbio l’uso politico reazionario che si fa della giustizia. E’ bastato poco per demolire le accuse contro gli anarchici costruite senza tener conto della verità”.

   L’avvocato Giambattista Lazagna ha detto che non si può parlare di divisione fra giustizia e potere: “Si tratta solo di una divisione delle parti. UNo degli arrestati detenuto assieme a me si è visto puntare la pistola da un magistrato che era venuto con i poliziotti ad arrestarlo. Allora che differenza c’è, perché dire che la magistraturaè una cosa a sè, indipendente dal potere?

   “Non si tratta più di rivendicare un orientamento democratico della magistratura, dell’esercito, della polizia. Si tratta invece di capire come esiste una precisa origine di classe di tali fenomeni, come ad una presenza internazionale dell’imperialismo vorrisponde un tipo di pot4re come il nostro.

   “Non possiamo dimenticare che funzione essenziale dello stato borghese è la repressione. La repressione – e questo è un concetto ancora difficile da spiegare – non è solo politica, ma è in tutti i campi. La mia esperienza carceraria mi ha fatto capire che non si può fare una distinzione fra repressione politica e repressione comune. Il carcere, di per sè stesso, è punto finale di qualsiasi tipo di repressione, non corrisponde più nemmono alla coscienza civile di qualsiasi cittadino. La stessa ideologia che porta all’uso del carcere, all’isolamento dalla vita civile di persone che magari hanno commesso piccoli reati, è un’ideologia che va combattuta”.

   IL dottor Luigi Saraceni, segretario della sezione romana di Magistratura Democratica, che ha svolto la sua relazione dopo alcuni interventi del numeroso pubblico presente, ha iniziato polemizzando con alcune affermazioni che erano state fatte da appartenenti al gruppo extra parlamentare Lotta Continua.

   “E’ una visione massimalista e fin troppo schematica dello scontro di classe, quella secondo cui è del tutto inutile operare all’interno del potere giudiziario per rendere democratica la magistratura in quanto questo potere è è destinato a svolgere sempre e soltanto un ruolo di repressione. Certamente, il potere giudiziario, essendo uno dei poteri fondamentali dello stato borghese, è destinato a svolgere un ruolo di affermazione e di puntellamento dell’interesse dle padrone che organizza lo stato borghese. Tuttavia, se ci limitiamo a osservare soltanto questo, diventa del tutto inutile qualunque tipo di battaglia, e anche questo convegno, e anche tutto quello che Lotta Continua va deenunciando sulle sue pagine: perché non vedo a quale conclusione può portareuna continua denuncia dello stato borghese se non si crede che la lotta può essere portata con successo anche su questo piano”.

   “Il problema è di vedere che cosa è oggi il potere per poter proporre delle allternative allo stato borghese. Il potere non è più annidato nel Palazzo d’Inverno, espugnando il quale avremmo risolto il problema. Il potere è anche un intrecciarsi di contraddizioni, anche e soprattutto per quello che la classe subalterna riescea imporre”.

   “La Costituzione, con la quale non si è fatta certo la rivoluzione, perché la rivoluzione non si fa con la carta, in quanto essa celebra ancora la sacrità del diritto di proprietà, contiene tuttavia delle affermazioni che sono una conquista della resistenza e della lotta di classe.

   “Non si capisce perché non dovremmo servirci di questi germi di potere alternativo che lo stato borghese contiene, rimandando tutto a dopo la rivoluzione. Bisogna avere una visione articolata, dialettica dello scontro di classe”.

   “Magistratura democratica ha fatto una precisa scelta di campo, che è una scelta di classe, a fianco degli sfruttati, delle classi subalterne, e svolge il suo ruolo con il movimento che è nel paese”.

   “Non si può ignorare del tutto ciò che avviene all’interno del potere, perché altrimenti il nemico di classe, che conosce la tecnica giuridica, avrà partita vinta. Questo si è visto anche in processi molto grossi, come quello contro Valpreda e nelle vicende dell’affare Lazagna”.

   “Nell’uno e nell’altro caso si sono costruite le accuse, adoperando tutti i ferri dela tecnica. Il destino del processo Valpreda (l’istruttoria è crollata miseramente al sesto giorno del dibattito), si è giocato su un fatto squisitamente tecnico, come quello della competenza territoriale. Ma la tecnica non è un fatto indifferente, essa è al servisio di una politica, e come tale vanno denunziati e combattuti anche nelle aule giudiziarie i tentativi di adoperarla a fini reazionari”.

  “Nel caso Lazagna i magistrati hanno fatto ricorso a uno strano ‘errore’ nel trascrivere il numerod ell’articolo del codice in base al quale veniva incriminato: un errore che però permetteva l’emissione del mandato di cattura”.
          LOTTA POLITICA E MAGISTRATURA

   “E’ quindi importante combattere la lotta politica anche sul piano di istituzioni come la magistratura, rifiutando il ruolo di settore ‘indipendente’ che le si vorrebbe dare, per conservarla strumento di potere”.

   Ha concluso il dibattito la relazione del magistrato Marco Ramat, segretario nazionale di Magistratura Democratica. “La nostra funzione non è solo quella di svolgere un ruolo diverso all’interno della magistratura, dando un diverso svolgimento ai processi che che ci sono affidati. Certo, se processi politici vengono affidati a magistrati democratici, potete essere certi che essi hanno uno svolgimento diverso da quelli chesi stanno svolgendo oggi”.

   “Ma noi di Magistratura Democratica siamo convinti che un processo rivoluzionario non ha possibilità di successo se non riesce ad affondare radici profonde nela società, e ad avere un consenso di massa. Per questo è importanteche si operi all’interno delle istituzioni, della scuola, come della magistratura, dell’esercito, della polizia, per proporre valori alternativi rispetto a quelli esistenti nella nostra società, in modo che domani, quando l’assetto strutturale sarà cambiato, non venga tradito dalla resipiscenza di una ideologia, e di una cultura non sopraffatte  tempestivamente da una maturazione che deve avvenire, infiltrandosi tenacemente in tutti i tessuti sociali, in tutte le strutture sociali, in tutti gli organi istituzionali, in ogni sede insomma, laddove si puo’ preparare in un modo o nell’altro il capovolgimento dele istituzioni”.

   “Bisogna operare perché presso il popolo si formi una coscienza alternativa, anche per quanto riguarda la valutazione del diritto. per questo riteniamo importante non ignorare questo campo di scontro costituito dalle strutture giudiziarie”.

 Giovanni Spampinato

Delle Chiaie a Ragusa

Ecco chi l’ha visto

Il noto fascista imputato per la strage di Milano è stato nella città iblea a gennaio insieme a Galatà – La polizia non sa nemmeno chi è – Tentativi di infiltrazioni fra gli anarchici da parte di provocatori neofascisti che dicono “Accadrà qualcosa di grosso” – Movimento di esplosivo in tutto il Ragusano?

(articolo non firmato)

Ragusa, 8 marzo 1972 – Sembra proprio vero che Stefano Delle Chiaie, chiamato “il càccola”, il fascista amico di tutti i fascisti d’Europa, compresi i boss della CIA al governo greco e il “bombarolo” Pino Rauti, sia stato visto a Ragusa. La data in cui il latitante (è scomparso dopo essere stato convocato dal magistrato, fra un interrogatorio e l’altro, all’indomani della Strage di Stato) avrebbe fatto la sua “apparizione” nel capoluogo siciliano è da fissarsi nei giorni della seconda decade del gennaio scorso. Sarebbe stato visto per circa tre giorni nel bar dell’albergo “Mediterraneo” di Ragusa. Di averlo visto sono sicuri un gruppo di giovani della Federazione giovanile socialista  ragusana.

Abbiamo rintracciato uno di essi che ci ha raccontato l’episodio: “Io e gli altri due compagni, uno dei quali è partito militare, eravamo seduti ad un tavolino del bar Mediterraneo. Al banco c’era un gruppetto di persone che stava prendendo il caffè. Si era nella mattinata. Io ho guardato e mi sono accorto che la faccia di uno di loro l’avevo vista da qualche parte. Ho cominciato a pensare dove. A un certo punto mi sono ricordato: l’avevo vista nelle indimenticabili foto di appendice a “Strage di Stato”; era Stefano Delle Chiaie”.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, io e i miei amici lo abbiamo rivisto insieme alla persona colla quale al mattino prendeva il caffè. L’ho rivisto anche l’indomani; non ricordo se al mattino o di pomeriggio”.

Gli mettiamo davanti una copia de “L’Ora” dell’altro ieri con la foto del “càccola” in prima pagina.

Un giro nel  Mezzogiorno

“E’ preciso – dice il giovane -. qui la foto è un pò più chiara del colorito della faccia che ho vista, ma è perfetta: sono sicuro che si tratta della stessa persona”.

Oltre al gruppetto di questo giovane e dei suoi amici, negli stessi giorni ad avere la forte sensazione che al Mediterraneo vi fosse Delle Chiaie c’è stato un altro giovane di sinistra, che però non abbiamo potuto ascoltare perché anche esso partito per il servizio di leva.

A dare forza al discorso dei giovani di Ragusa i sono le segnalazioni dei gruppi anarchici di Reggio Calabria e di Cosenza, i quali affermano che Delle Chiaie è stato visto in quelle città nei primi giorni di febbraio.

Insomma, sembra si sia trattato di un ampio “giro” che il latitante fascista ha potuto compiere indisturbato in diverse città del Mezzogiorno. E a quanto pare, non ha nemmeno ricorso a mascheramenti  e stratagemmi di sorta per ‘ritoccare’ la sua fisionomia: a quanto pare, non ha timore che possa essere ‘incastrato’ dai tutori dell’ordine.

Gli amicidi Borghese

E non a torto, dal momento che il maresciallo di P.S. Minniti della squadra politica di Ragusa, si è informato preso un giornalista per sapere “chi fosse questo Delle Chiaie”: “un anarchico”?

Come ricercato Stefano Dell Chiaie dovrebbe essere un nome scritto a chiare lettere nel ‘calepino’ dei poliziotti – in specie di quelli della ‘politica’ – e la sua foto segnaletica dovrebbe campeggiare in tutte le questure del territorio nazionale; invece, a Ragusa, il maresciallo Minniti non sapeva nemmeno chi fosse e, per istinto, ha chiesto se si trattasse di un anarchico.

La presenza di Stefano Delle Chiaie a Ragusa non è stato, però, un fatto isolato. Negli stessi giorni – sempre a detta dei giovani socialisti, e confermato dal gruppo anarchico – sempre al Mediterraneo, sarebbe stato visto il mazziere catanese Stefano Galatà, detto ‘dente d’oro’. Lo stesso Galatà è stato segnalato dagli anarchici di reggio e Cosenza come presente in quelle città negli stessi giorni, supperggiù, della ‘apparizione’ di Delle Chiaie.

A questo punto il discorso si fa più complesso, stringente, ma molto più preciso.

Negli ultimi due mesi al Mediterraneo, a più riprese, ha preso alloggio il signor Quintavalle (con moglie e figli): romano, ex X Mas, conosciuto come fascista e fedelissimo del ‘golpista’ mancato, principe Junio Valerio Borghese.

Questo signore, che si è fatto vedere in giro coi più agguerriti fascisti di Ragusa (di dentro e fuori il Msi), ha “dato voce” che intende aprire una palestra di ‘karatè’, una piscina e una specie di complesso turistico. Secondo le dichiarazioni fattaci, è lui che avrebbe preso il caffè con Stefano Delle Chiaie, Uno dei suoi figli, il diciannovenne Giulio, è stato protagonista di uno strano episodio che ci raccontano gli anarchici.

“Prima di dire del nostro incontro con Giulio Quintavalle, dobbiamo raccontare come siamo arrivati a conoscerlo.

“Il Mediterraneo è un posto che frequentano un pò tutti i giovani perché basta prendere un caffé per essere lasciati in pace al tavolo. Un giorno alcuni giovani di sinistra, che parlavano di politica, sono stati avvicinati dal Giulio il quale, dopo averli sentiti parlare, s’è fatto prendere dal portiere dell’albergo una copia di ‘Strage di Stato’ e un altro libro (di Lenin, pare) e, lasciando alcuni fascisti coi quali si intratteneva, è entrato in discussione con quei giovani. Si è presentato come anarchico. , mandato da un ‘Centro Bacunin’ (sic) di Roma, con lo incarico di fondare una sezione anarchica che si sarebbe dovuta chiamare “22 marzo”; e ha precisato che non doveva, però, essere per niente simile a quella di Roma, dove c’erano i fascisti. SI è detto in grado di ottenere finanziamenti e materiali.

“Avvertiti da alcuni compagni socialisti che lo avevano visto coi fascisti, lo abbiamo lasciato. Lui si è seduto a un tavolo, ha scritto alcuni bigliettini: poi è dovuto andar via e li ha appallottolati e gettati  nel portacenere. Li abbiamo presi noi”.

In uno dei bigliettini che ci sono stati consegnati è scritto: “Ragusa, 8-2-1972. Ho preso contatto con alcuni anarchici, abbiamo parlato della situazione scolastica  e della sezione che è stata appena aperta”. Niente altro. A cosa servisse questo appunto non si capisce; forse una specie di memoriale?

“Contatto con gli anarchici”

”Noi – continuano gli anarchici – abbiamo scritto subito al “Circolo Bakunin” per sapere se quello che diceva Quintavalle era vero: ci hanno risposto con un telegramma dicendoci che non esiste il “Centro Bakunin”, che Giulio Quintavalle non è affatto un anarchico e che tutta la sua famiglia è notoriamente fascista”.

Dopo alcuni giorni da questo fatto, arriva a Ragusa una Mercedes. A bordo ci sono un altro figlio Quintavalle e il deputato regionale del MSI, Salvatore Cilia. Quintavalle si presenta ai giovani di sinistra come “maoista con tendenze anarchiche”, però è in ottimi rapporti con Cilia; lui e tutta la sua famiglia.

L’on.Cilia è conosciuto a Ragusa come autore di un libro pubblicato dall’editore Schembri (di Ragusa) nel ’54. Il volume si intitola “Non si parte” ed è presentato da “una lettera del comandante Borghese” nella quale, dopo il “Caro Cilia”, fra l’altro si legge: “A te, generoso e leale combattente, ieri con le armi, oggi con la penna, l’augurio di quel successo che la tua animosa rievocazione ben merita. Cordiali saluti. Valerio Borghese”.

L’on. Cilia, “il combattente”

Il deputato Cilia è pure ricordato, oltre che per la estrema eterogeneità del suo elettorato e delle sue amicizie, come un estremista di destra, molto vicino a Ordine Nuovo di Pino Rauti, sin dalla sua fondazione; nel MSI pare ci sia entrato verso il ’63, dopo avere espugnato la federazione del partito con un manipolo di seguaci.

Ecco, in questo quadro di amici del “principe nero” che si incontrano a Ragusa, con prospettive di palestre (mancano due-tre parole) complessi turistici (dove non è facile controllare chi ci stia), nel quale si registrano le presenze di Delle Chiaie e del suo fedelissimo Galatà, e dopo le ‘stranezze’ dei figli di Quintavalle, quello che tutti i fascisti della città vanno dicendo, cioè “che a Ragusa accadrà qualcosa di grosso”, incomincia a preoccupare seriamente gli ambienti democratici di tutta la provincia.

Si incomincia a parlare con maggiore precisione di depositi di munizioni, esplosivi e armi: dicerie alle quali – “pur se insistenti e non del tutto prive di fondamento”, dicono gli anarchici – prima non si era dato eccessivo peso.

Fra gli studenti è stato preso, alla luce degli ultimi episodi, molto in considerazione quello che ha detto un giovane fascista in una assemblea della IV classe del liceo scientifico “Enrico fermi”. Ad un certo punto della discussione sul libro “Strage di Stato” il giovane s’è alzato e ha detto: “State attenti, non voglio fare nomi, ma vedete che gira esplosivo a Ragusa”.

Stessa preoccupazione viene dalle dichiarazioni di numerosi contadini dei comuni di Santa Croce e di Modica, i quali dicono di aver notato da una diecina di giorni a questa parte uno strano quanto massiccio movimento di macchine, nottetempo, nelle campagne di alcune zone: a Modica, in contrada Scorrione, dove ci sono numerose villette rustiche e antichi “bagli”. Corre voce che esponenti di estrema destra si diano convegno in queste zone.

Tutte queste voci hanno messo in allarme i cittadini democratici di Ragusa e di molti centri della provincia. Quanto ci sia di vero non siamo in condizione di dirlo. Ma possiamo dire che in quanto a “coincidenze”, in questi ultimi tempi, se ne sono verificate parecchie. E sulla base di queste coincidenze che gli anarchici e i giovani di sinistra hanno messo assieme i loro forti sospetti e ricollegato in un unico filo “l’apparizione” di Stefano Delle Chiaie e Galatà, la venuta dell’ex subalterno di Valerio Borghese, Quintavalle, gli strani discorsi dei suoi due figli, la frequenza fra questi e l’onorevole Cilia (una volta vicino a “Ordine Nuovo” e pure amico di Valerio Borghese), le insistenti voci di “qualcosa di grosso che dovrà accadere a Ragusa”, le segrete riunioni agresti nella notte e il giro di armi e esplosivi che viaggerebbe parallelamente al contrabbando locale.

Naturalmente, nei “calepini” della polizia non c’è segno di tutto questo nemmeno come segnalazione.

(articolo non firmato, autore Giovanni Spampinato )

Delle Chiaie a Ragusa?

E’ latitante e ricercato per le bombe del 12 dicembre all’Altare della Patria 

Il quotidiano di Palermo pubblica in esclusiva la notizia di Giovanni Spampinato sulla presenza del neofascista a Ragusa.

Il giornale pubblica in prima pagina una foto scontornata del “bombardiere nero”. La didascalia dice: “latitante e ricercato per le bombe all’Altare della Patria , si nasconde a Ragusa?”. Il titolo più sotto: ”Il fascista Pino Rauti interrogato sulle bombe nel treno”. Accanto c’è una foto del leader di Ordine Nuovo.

In prima pagina anche un richiamo alla nuova puntata dell’inchiesta di Spampinato sullo squadrismo in Sicilia, dedicata a Siracusa, che occupa tutta la seconda pagina del giornale.

La notizia sulla presenzxa in Sicilia del fondatore di Avanguardia Nazionale fece sensazione per i suoi noti legami con Pino Rauti, che era stato arrestato tre giorni prima, il 3 marzo, su mandato di cattura del giudice di Treviso, Giancarlo Stiz, che ingava sulla “pista nera”. Rauti, fondatore di Ordine Nuova, era accusato di ricostituzione del partito fascista e di corresponsabilità negli attentati del 1969. Poi, il 22 marzo, fu indiziato anche per la  strage di Piazza Fontana, ma due giorni dopo fu scarcerato per insufficienza di indizi. Due mesi dopo entrò in parlamento come deputato del Msi

DOPPIONE – Chi ruba la proprietà?

(Commento alle proteste degli agrari per la riforma dell’affitto dei fondi rustici)

RAGUSA, 29 maggio 1971 – Vent’anni fa i comunisti mangiavano i bambini; adesso rubano la proprietà: Il progresso viene per tutti, e anche loro si sono dovuti dirozzare, sono dovuti diventare meno cavernicoli. Ma restano sempre cattivi e criminali: rubare alla gente il frutto di una vita di sacrifici, togliere i sudati risparmi è pur sempre una canagliata. E perché, poi?. Per sfizio, perché sono sadici, giusto per far piangere tanti poveretti, perché questa proprietà non è che se la prendano loro, che uno magari lo potrebbe capire: no, la tolgono e basta, perché sono invidiosi, perché ce l’hanno con la gente più brava di loro, con la gente che si fa da sé.

Questi cattivoni antipatici e criminali snaturati (perché ancora qualche bambino, di nascosto, lo arrostiscono, e se lo vanno a mangiare in campagna, il primo maggio, o dopo che hanno vinto le elezioni…) se la sono presa prima con la terra, e ora ce l’hanno con la casa, e pare che vogliano continuare con i negozi, con le fabbriche. Insomma, vogliono rubare tutto, fino a quando la proprietà non sarà privata, ma rubata. Una bella birbanteria!

Uno spiritosone diceva l’altra volta che nella nostra società la proprietà si chiama “privata” perché qualcuno ne è stato “privato”. Certo, dire che si “priva” qualcosa è meno impressionante che dire che si “ruba” qualcosa. Ma, come concetto, siamo lì, non è Maso ma mastro Maso. E chi ha “privato” della proprietà i comunisti?

Diceva, quello spiritosone, che una volta non c’era proprietà “privata”, ma che tutti avevano un pezzo di terra, o qualche utensile, a seconda se erano contadini o artigiani, oppure un asino, se lavoravano nel settore dei trasporti, e tutti vivevano felici e contenti, perché ognuno faceva il proprio lavoro senza dare fastidio agli altri, e anche perché non c’erano i comunisti, perché allora non ce n’era bisogno.

Ad un certo punto uno più sperto degli altri, fece questo ragionamento: “Se io ho più terra degli altri, valgo di più”. Questo non era vaero, ma quel disgraziato, appunto perché era sperto, non ci fece caso, e di prepotenza si prese la terra del suo vicino. E siccome non poteva lavorare il suo podere e quello di cui aveva “privato” il vicino, fece lavorare per sé il vicino, e gli fece anche un favore, perché se no quello dove andava a lavorare? E lui gli dava giusto quelloc he gli bastava a non farlo crepare, e lo faceva lavorare più di prima. E cosìlui e una banda di suoi compari si misero a “privare” della terra e degli altri mezzi di produzione, degli utensili, degli asini, di tutto il resto, i loro vicini, e gli lasciavano solo gli occhi per piangere e le braccia per lavorare per loro, dandogli quel tanto che li teneva in piedi e tenendo il resto per sé, e con quel resto continuavano a rendere la proprietà “privata “.

Cose d’altri tempi, che non succedono più. Ora chi vuole può farsi la sua proprietà; basta che ci sa fare. E i comunisti, cattivi e antipatici, gliela tolgono, per sfizio, perché sono invidiosi. Però la storia è in continuo progredire, e così i rapinatori di ieri a mano a mano si sono sbranati fra di loro, come pesci, sono scomparsi, sono rimasti soltanto alcuni grossi pescecani che fanno piazza pulita di tutti i pesciolini che incontrano. La Fiat ha “mangiato” la Lancia e l’Autobianchi e tante altre fabbriche piccole e medie. La standa “mangia” ogni giorno decine di piccoli negozi, con una concorrenza spietata. Il calzolaio chiude bottega, il sarto pure, perché non possono competere con la Varese o con la Lebole. E i loro figli vano a lavorare a conto d’altri, ad aumentare il profitto dei pescecani. E così il contadino, la cui terra viene “mangiata” dal vicino più grosso, se ne va all’estero o diventa bracciante. E la proprietà diventa sempre più “privata”, sempre più “rubata”.

Giovanni Spampinato