Don Ciotti ricorda il funzionario di Foggia ucciso perché non volle chiudere un occhio

La XV Giornata della legalità in memoria di tutte le vittime di Capitanata 

RAGUSA-FOGGIA:  SUL FILO DEL RICORDO

di Alberto Spampinato

Roma, 12 aprile 2010 – Un anno fa, a Roma, ho ascoltato un appassionato intervento pubblico di Daniela Marcone sul dovere dei familiari delle vittime di impegnarsi per affermare la verità e la giustizia e per impedire che il tempo cancelli il ricordo dei loro cari.  Sono rimasto colpito dalla forza straordinaria con cui Daniela difende la memoria di suo padre, un onesto funzionario pubblico, il direttore dell’Ufficio del registro di Foggia, un amante delle regole, assassinato 15 anni fa a Foggia a colpi di pistola perché non aveva voluto chiudere un occhio (o forse entrambi gli occhi) su certe cose che nel suo ufficio non andavano.  Francesco Marcone era diventato un ostacolo, mentre altri non si facevano scrupoli di chiudere gli occhi per quieto vivere. Dicevano che a Foggia, certo, c’era un po’ di malavita. Dicevano che la città cresceva con “l’economia del mattone”. Non dicevano che in quel modello di sviluppo la speculazione edilizia era impastata di mafia. Anzi, escludevano la presenza della mafia in Capitanata. Come si poteva spiegare allora l’assassinio con due colpi di pistola di un mite e onesto impiegato pubblico come Francesco Marcone? Non era possibile spiegarlo. Infatti ancora oggi le indagini non riescono a individuare un esecutore e un mandante.

Quella di Francesco Marcone è una di quelle storie terribili che una città cerca di scrollarsi di dosso. Cerca di dimenticarla, di archiviarla, affidando al tempo il compito di cancellarla. Il silenzio agevola questo compito. Nessuno mette in dubbio l’onestà di Francesco Marcone, però si svaluta la sua onestà come se fosse moneta fuori corso, dicendo: “Chi glielo faceva fare?”. Lo dicono molti pacifici cittadini, e non solo a Foggia, convinti di distillare parole di saggezza, senza rendersi conto che questo cinico slogan è il manifesto degli opportunisti e dei rassegnati, di chi pensa che davanti alla prepotenza non si possa fare altro che chinare il capo. Daniela Marcone e suo fratello non la pensano così. Loro non sono rassegnati. Hanno trasformato il dolore e l’ansia di giustizia in impegno civile, periodicamente aggiornano la situazione e presentano alla comunità e alla giustizia il conto non pagato.

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