Giovanni e la cronaca: E’ doveroso dire chiaramente come stanno le cose

Giovanni Spampinato concepiva il giornalismo come un servizio pubblico di informazione svolto dai giornalisti nell’interesse dei lettori, del loro diritto di essere informati con onestà e imparzialità dei fatti più rilevanti, anche a costo di contraddire versioni ufficiali e di comodo. Ha esposto questa convinzione in questo passaggio di un articolo:

…mentre molti, moltissimi, e tra questi anche persone vicine alla famiglia Campria, erano pronte a parlarne “in privato”, nessuno osava dirlo apertamente. L’Ora ha ritenuto non solo giusto, ma doveroso dire chiaramente queste cose, anche per provocare delle reazioni, perché fosse fugato ogni dubbio sulla magistratura, perché i cittadini tornassero ad avere fiducia nell’indipendenza di giudizio dei magistrati…

G.Spampinato su L’Ora, 3 agosto 1972

“Ciò che ho scritto sul caso Tumino si è rivelato puntualmente esatto”

Lettera datata Ragusa, 28 marzo 1972

Cara Angela*,

ti do altri elementi su Quintavalle, elementi che ho raccolto stamattina. Sono convinto che vale la pena andare a fondo nella faccenda, perché il nostro uomo è pieno di contraddizioni, e se il suo passato è burrascoso, il suo presente è, quanto meno, poco limpido. Quello che ho scritto dall’inizio del caso Tumino (quando di Q. non si parlava) nella settimana passata, anche se frutto di illazioni, si è rivelato puntualmente esatto. Avevo scritto che dietro il caso Tumino, c’era qualcosa di molto grosso; e poi, parlando di Delle Chiaie e Quintavalle, ho messo in relazione la loro presenza con il delitto Tumino. Anche qui è venuta la conferma: Quintavalle è stato interrogato, e la sua abitazione ragusana perquisita. Ora lui si mostra preoccupato, e la moglie, poco prima che egli rientrasse a Roma mercoledì (è andato in macchina con uno scagnozzo di Cilia) gli ha telefonato che “c’erano altri guai sul giornale”.

Ma andiamo con ordine. Si chiama Vittorio, a Roma abita in viale (…) e ha uno studio di pittore a Porta San Paolo. Qui è venuto poco prima di Natale, con la moglie e con il figlio Giulio Cesare di 16 anni (quello del tentativo di infiltrazione tra gli anarchici). E’ un tipo molto alto, 1 metro e 90. Da Natale si è allontanato solo per brevi periodi per fare delle scappate a Roma. La moglie e il figlio sono rientrati ai primi di gennaio nella capitale. Dell’altro figlio di cui è stata segnalata la presenza ( un giovane di circa 25 anni coi baffi) non ha mai fatto cenno alla famiglia che ha frequentato assiduamente (persone conosciute casualmente e assolutamente insospettabili).

 

Invece telefonavano, lui e la moglie, giornalmente ad un altro figlio, Gaetano di 21 anni, studente universitario. Ora questo Gaetano sarebbe stato operato di emorroidi, e questo giustificherebbe una sua assenza più lunga del previsto (una settimana). Dice anche di avere due figlie femmine. Sostiene di essere laureato in pedagogia e di avere insegnato disegno e pittura a Roma, Firenze e Tokio (sic!). Dice di essere maestro di karatè. Dice di vivere della vendita dei suoi quadri e ha mostrato assegni di mezzo milione. Ma a volte è costretto a ricorrere a prestiti. Ho visto tre suoi quadri, paesaggi (tra l’altro una chiesa dove si sono svolti i funerali di un suo fratello, e lo studio di Porta San Paolo). Non sono opere d’arte, lo stile è un po’ da cartoline tipo Ottocento, ma mostrano una buona conoscenza della tecnica della prospettiva. Non fa mistero di aver fatto parte della Decima Mas, anzi se ne vanta. Non ha mai fatto il nome di Borghese. Dice di essere stato in carcere (controllare se è stato condannato nel ’46 con Borghese, e per quali reati). Dice di essere nato a Torino, da famiglia vittoriose. Conosce Cilia da vecchia data e l’anno scorso gli ha fatto dono per la campagna elettorale di autoadesivi fluorescenti con la foto di Cilia. Che hanno appiccicato su tutte le insegne stradali..

 

Diceva di essere venuto a Ragusa per costruire un albergo di 250 stanze, con piscina su un terreno dell’avv. Schembari, agrario e fascista. Ma nella zona non si possono realizzare insediamenti turistici, e al comune nessuno da niente del progetto. Dice di avere litigato col figlio di questo Schembari, braccio destro di Cilia, tipo equivoco, perché quest’ultimo temeva che gli fregasse la moglie due mesi dopo il matrimonio, e questa vive a Gela). Dice che farà da padrino al nascituro figlio di Cilia (ma Cilia è separato dalla moglie). Dice anche che rimane a Ragusa perché gli stanno preparando una mostra di suoi quadri.

 

Per la sera del delitto ha un alibi che regge: è stato in compagnia di persone insospettabili dal primo pomeriggio ininterrottamente fino alle 23, mentre il delitto sarebbe avvenuto tra le 19 e le 21. L’articolo su “L’Ora” di lunedì 6 lo ha mandato in bestia e si è mostrato, negli ultimi giorni, preoccupato. Dice che gira molto e che è un giorno qui e l’indomani in America. E’ sbruffone ma su certe cose si controlla. Non ha fatto cenno agli articoli, come non ha fatto il nome di Borghese. Questo quanto so fino a questo momento. Sto raccogliendo altre informazioni a Scicli e Vittoria. Penso che questo tizio sia implicato col traffico illecito di oggetti d’arte e pezzi archeologici, ma che abbia una funzione politica precisa nelle fila neofasciste.

Ciao, ciao,

Giovanni Spampinato

*Angela Fais, segretaria di redazione dell’Ora, si era appena trasferita a Roma. Svolgeva lo stesso lavoro per Paese Sera

vedi la precedente lettera datata 11 marzo

“E’ come camminare su un campo minato”

Lettera datata Ragusa, 11 marzo 1972

Cara Angela*,

eccoci a noi. Ti dico subito di cosa ho bisogno e così poi possiamo passare ad altro. Compagni di Siracusa mi hanno fatto notare che il Quintavalle che è qui a Ragusa era forse implicato nel crack finanziario di Valerio Borghese. Ora penso che per voi a Roma non dovrebbe essere difficile avere sue notizie. Lui ha affermato che nella capitale faceva il professore di disegno o pittura in un istituto artistico (è riuscito a “‘mpicari” qualche quadro anche qui). Ha un paio di figli, o forse più.

Mi hanno detto di svolgere indagini qui e a Vittoria, perché forse è nativo delle nostre parti (lui afferma di essere marchigiano, forse di Ancona). Se so altre notizie (dati anagrafici, ecc.) ti telefono senza dare troppo nell’orecchio. Qui a Ragusa e Siracusa, i fascisti sono irritati e preoccupati. Cilia ha fatto cenno a una querela che suoi camerati avrebbero intenzione di fare perché ho detto che sono vicini ai trafficanti di droga.

Una querela l’ha presentata il giudice Campria, per il caso Tumino (perché ho scritto che il figlio di un magistrato era sotto torchio). Come vedi va tutto bene. Con Giacomo si lavora alla perfezione, certo resta sempre il problema economico, il lavoro mi assorbe molto e rende poco. Ieri Nino G. mi ha accennato alla possibilità di una mia utilizzazione a Catania, sempre come collaboratore. Dovremmo parlarne con più precisione. Certo che, in un modo o nell’altro, debbo trovare una sistemazione che mi consenta un minimo di indipendenza economica. E questo, stando a Ragusa, non credo sia possibile. Tra l’altro, ho la ragazza che studia a Roma, e il fatto di vederci solo nelle feste crea problemi. Comunque, non so proprio cosa farò.

In questi ultimi tempi, grazie al continuo impegno, sono piuttosto su di morale, ma a volte per lunghi periodi mi sento intrappolato e non vedo prospettive. Ti scrivo queste cose anche perché tu mi hai spinto a farlo. E, dato che ci sono, ti chiedo un consiglio: secondo te cosa mi conviene fare, stare a Ragusa, andare a Catania o venire a Roma? Ma a Roma non saprei proprio cosa fare. Tu che dici?

Cara Angela, torniamo al lavoro. Forse mi sono buttato troppo a corpo morto su questa faccenda e può essere rischioso, perché è come camminare su un campo minato. Però credo che ne valga la pena perchè qualcosa sotto c’è e di non poco conto. E allora, tanto vale andare a fondo, per evitare di essere presi alla sprovvista.

A Roma come ti trovi? L’ultima volta che ci siamo visti a Palermo eri molto contenta di questo trasferimento. Contaci pure, se vengo a Roma ci sentiamo e ci vediamo e potremo parlare un po’. Dovrei iscrivermi all’albo, ma nessuno ancora mi ha saputo dire esattamente cosa debbo fare. Ciao

Giovanni Spampinato – Ragusa

Ultimora: Quintavalle è stato interrogato in relazione al caso Tumino. Sempre più emozionante!

*questa lettera è indirizzata ad Angela Fais, segretaria di redazione di Paese Sera, a Roma.

La situazione demografica e sociale nella provincia di Ragusa

Premessa

L`analisi della situazione economico sociale dell’ambiente in cui si vive sembra, in un primo momento, estremamente facile, addirittura superflua. Ma, come è vero chela coscienza che si ha del proprio stato personale è in genere fallace, falsata com’è da condizionamenti interni ed esterni di ogni tipo è altrettanto vero che egualmente falsa risulta, nella maggior parte dei casi, la coscienza della realtà economico-sociale in cui si vive.

Così, per limitarci alla nostra provincia notiamo come troppo spesso si sentono fare delle affermazioni, da parte di gente che ne ha diretta esperienza per il fatto di esservi nata e di viverci, che lasciano sorpresi per la scarsa rispondenza alla realtà che esse presentano. Così, è quasi un luogo comune che la provincia di Ragusa costituisce una specie di felice quanto inspiegabile oasi nel Mezzogiorno: a Ragusa, si sente dire, si sta bene, o almeno non c’è gente che sta male.

A confronto di questa tesi c’è anche chi, dandosi l’opportunità, presenta cifre, statistiche, che, per la loro parzialità, inducono facilmente in errore. Le statistiche, si sa, se non sono usate con criteri scientifici, possono portare ad abbagli paurosi. Bisogna tenere presente che, ai fini di un discorso politico-sociale, bisogna prestare particolare attenzione ai dati sull’occupazione, sull’emigrazione, ai rapporti di produzione presenti. In ultima analisi, una zona, una regione potrebbe produrre più di un’altra, senza che perciò la situazione sociale risultasse migliore. Dipende dal modo in cui viene prodotta e distribuita la ricchezza, il grado di evoluzione sociale e civile di una zona o di un paese.

Le note che seguono nascono dalla considerazione che manca, in provincia di Ragusa, un’analisi organica ed aggiornata della situazione demografica e sociale. Non possono certo bastare le scarse ed arretrate pubblicazioni ufficiali della Camera di Commercio, i cui dati oltre ad arrivare al massimo fino al 1963 sono utilizzati per dimostrare le tesi con le quali non si può concordare. Come quando si afferma: “Il fenomeno migratorio in provincia di Ragusa non ha assunto…, fino a questo momento, quella vastità di proporzioni che ha avuto invece in altre provincie. Vero si è che in provincia, specialmente in questi ultimi anni, si è assistito ad un continuo esodo delle popolazioni verso i maggiori centri della provincia e allo spostamento di notevoli aliquote di mano d’opera giovanile verso l’estero, in principal modo verso la Germania, e nei centri industriali del Nord Italia (soprattutto in Lombardia e Piemonte). Tuttavia il fenomeno della migrazione bracciantile non ha raggiunto valori tali da superare lo stesso incremento naturale della popolazione”. (Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Ragusa, Lineamenti economici della provincia di Ragusa, Giuffrè, 1964). Ciò veniva affermato mentre 5 comuni su 12 registravano un decremento assoluto di popolazione, e la provincia veniva interessata ad un movimento migratorio che in certe zone comuni montani in articolare coinvolgeva un quarto della popolazione!

Ma naturalmente non si può pretendere di più da una pubblicazione ufficiale. Le forze politiche e sindacali, da parte loro, hanno prodotto, di tanto in tanto, delle analisi parziali e intese in vista di una utilizzazione immediata. Solo negli ultimi tempi si è registrata la necessità, per la sinistra, di un lavoro organico, di una analisi la più completa ed articolata che sia possibile.

Le note che seguono nascono dalla considerazione di tale carenza e di tale necessità, dell’urgenza di uno strumento di lavoro e insieme di uno stimolo a nuove ricerche e nuovi impegni di lotta.

Niente di definitivo, dunque, ma un invito alla ricerca.

Appunti sui movimenti demografici e sociali verificatisi a Ragusa dal 1951 ad oggi.

Dal dopoguerra in poi, la provincia di Ragusa è stata interessata, come tutto il Mezzogiorno, a fenomeni socio-economici di ampia portata, direttamente dipendenti dalle grandi scelte di politica economica fatte dal capitale italiano in quegli anni: accelerata industrializzazione del nord e politica liberistica, che per il sud hanno significato crisi dell’agricoltura e conseguente emigrazione di massa (fenomeno funzionale allo sviluppo industriale del nord). Tali fenomeni hanno avuto importanti e drammatiche ripercussioni sul piano demografico.

Le cifre delle statistiche ufficiali relative alla popolazione e all’occupazione testimoniano a sufficienza il grave dissesto economico e sociale provocato da tali processi in provincia di Ragusa.

Ma ad una lettura complessiva dei dati sfuggono a volte fenomeni di rilevante importanza, di modo che risultano falsate le dimensioni reali dei fenomeni e in definitiva la loro interpretazione generale.

Cosi, mentre nel ventennio 1951-1970 si registra in tutta la provincia, un incremento demografico assoluto pari a 21.000 unità (solo il 9,9%, in media lo 0,4% annuo), ad un più attento esame dei dati raggruppati per zone risulta-chiaro che tale modestissimo incremento ha tra l’altro interessato solo pochi centri, e il capoluogo in particolare (+ 11,9%, + 23,1% ), mentre per altri (cinque, per la precisione), si è avuto un decremento assoluto che ai-riva fino al 19,1% (Chiaramonte).

Popolazione residente in prov. di Ragusa

anno                     1951                     1961                     1966                    1967

num. abit.           239.337               252.769               25.8.313              259.188

anno                     1968                     1969                     1970                     var. %

                                                                                   ( 30 nov.)                 (’51- 70)

num. abit.           258.506               259.953                   260.714                 + 8,9

 

Calcolando poi le variazioni intervenute nel decennio che va dal 1951 al1961 (data dell’ultimo censimento generale) nella composizione per settore della popolazione attiva, risulta che nella maggior parte dei comuni si è avuta una sensibile contrazione dell’attività produttiva in generale (agricoltura e industria).

Per quanto riguarda l’agricoltura, in tutta la provincia si passa dai 43.017 addetti del ’51 ai 35.791 del ’61, con una diminuzione pari al 19,3%. Viene di conseguenza a modificarsi profondamente la composizione della popolazione attiva in condizione professionale: mentre nel19 51 su l 00 persone occupate 54,3 lavoravano la terra, nel 1961 sono solo 46,3. L’economia provinciale rimane comunque eminentemente agricola.

Sempre dal 1951 al 1961, gli addetti all’industria passano da 9.360 a 9.221 unità (- 1,5% ), mentre sale da 24 a 27,8 la percentuale di occupati nell’industria.

Complessivamente, gli addetti alle attività produttive (agricoltura e industria) passanci da 52.377 a 45.012 unità( – 13,4″/o ), e dal 78,3 al 74,1% della popolazione in condizione professionale.

 

Settori                  Numero di addetti           variab.                per 1.000 abit.

                           1951            1961                 %                    1951      1961

agricoltura          43.017          35.791             – 19,3                  54,3       46,3

industria              9.360             9.221             – 1,5                    24,0       27,8

Totale                  52.377         45.012             -13.4                    78,3       74,1

Il settore terziario (commercio in particolare) esplode in forma patologica, tanto da far registrare, in molti ·comuni, una frequenza di addetti maggiore che per il settore industriale, fenomeno tipico di ·una economia malata).

Per il commercio, si passa da 5.326 a 7.406 addetti ( + 48,5% ); per le altre attività terziarie, da 2.603 a 3.567 addetti(+ 37,0% ). Il rapporto fra addetti al terziario e la popolazione in condizione professionale passa dal 21,7 al 25,9%.

settori                  numero di addetti            variab.                 per 1. 000 abit.

                                  1951      1961           %                         1951      1961

Commercio                  5.326    7.406        + 48,5                       22,2       31,3

altre att. ter.                 2.603    3.567         + 37,0                      10,4      14,1

Totale                          7.829     8.973                                       21,7      25,9

Nel 1961, ogni mille abitanti 141,6 erano addetti all’agricoltura, 35 all’industria, 31,3 al commercio, 14,1 alle altre attività terziarie. Dalla tavola che segue, risaltano chiaramente e le variazioni intervenute nel decennio e le differenze con la composizione delle forze di lavoro a livello nazionale.

Addetti per 1.000 abitanti

1951 | 1961 | var. %

agricoltura

prov. RG                                     176,6 141,1 -3,5

Italia

Industria

prov. RG                                      39,1  35,0  -0,41

Italia

Commercio

prov. RG                                      24,9  31,3  +0,64

Italia

Altre attività terziarie

prov. RG                                      10,4  14,1  +0,37

Italia

Complessivamente, il rapporto fra addetti ad attività agricole ed extra agricole e popolazione residente passa da 251 a 222 per mille, con una diminuzione di 29 persone in condizione professionale ogni 1.000 abitanti.

La conseguenza più visibile e drammatica della crisi economica e sociale che abbiamo esaminato è un’emigrazione di proporzioni tali da assumere le caratteristiche di fenomeno di massa. Dal 1952 al 1970, in soli 19 anni, il saldo attivo (eccedenza degli emigrati sugli immigrati) risulta pari a 24% . Ciò significa che in meno di un decennio la provincia di Ragusa ha perduto (mancato incremento naturale della popolazione) oltre il 10% della sua popolazione. Il fenomeno è pressoché costante nel tempo; anzi, per il 1970 si registra un più accentuato flusso migratorio. Esso, come vedremo successivamente, interessa in particolare alcuni comuni (zona interna più qualche altro ), in cui si registra un regresso assoluto di popolazione o un modestissimo incremento.

anni | eccedenza emigrati su immigrati | Di cui all’estero

1952-1961 9.233

1962          4.493                                 654

1963          2.605                                 185

1964          1.536                                 656

1965          1.040                                 756

1966          899                                    700

1967                                                    244

1968          2.740

1969         899

1970         909

L’andamento dell’emigrazione, oltre alla crisi economica locale, segue piuttosto fedelmente l’andamento del mercato del lavoro nazionale. Così, negli anni del boom economico, la maggior parte dei lavoratori emigra-verso l’Italia s~ttentrionale (Lombardia e Piemonte in particolare); negli anni della recessione si ha una maggiore emigrazione verso l’estero (Germania e Svizzera, soprattutto).

Il fenomeno migratorio dopo il 1963 (agli inizi degl( anni ’60 aveva avuto un ritmo intensissimo) sembra diminuire progressivamente.

Ma nel 1968 e nel 1970 poi si registra di nuovo una accentuazione. La crisi edilizia sembra destinata ad accrescere la schiera degli emigranti.

La scuola

Nella logica del sottosviluppo economico e sociale, alla scuola è riservato un ruolo ben preciso: da una parte essa assorbe una notevole aliquota di disoccupazione giovanile, costituendo una zona di ” parcheggio” per quanti debbono immettersi nel mondo del lavoro (disoccupazione dissimulata), permettendo così il superamento temporaneo di alcune grosse contraddizioni del sistema; dall’altra crea una massa di lavoratori in condizione proletaria altamente specializzati ( diplomati e laureati), che non possono in alcun modo essere assorbiti dall’asfittica economia locale, e sono destinati alla sottoccupazione e all’emigrazione verso zone più sviluppate, dove serviranno a calmierare il mercato del lavoro con una offerta a basso prezzo.

E’ anche da mettere in rilievo la parziale modificazione che si è determinata in questi ultimi anni nel ruolo riservato al Mezzogiorno nel campo della “produzione” intellettuale. Mentre tradizionalmente l’esportazione ha riguardato soprattutto la burocrazia (si vedano le pagine di Gramsci sul “patto” del capitalismo del nord con la piccola borghesia meridionale, all’indomani dell’unificazione nazionale), dagli anni ’60 in poi tale esportazione si è estesa alle specializzazioni tecniche. Le scuole sorte sull’onda delle speranze di una prossima rapida industrializzazione si sono trasformate in fabbriche di disoccupati altamente specializzati e destinati all’emigrazione.

D’altra parte, non è cambiato il ruolo egemone dei licei e degli istituti magistrali che, al momento dell’esplosione delle scuole tecniche, sembravano destinate ad un drastico ridimensionamento. Dopo una stasi di pochi anni, i licei riacquistarono tutto il loro “prestigio” (legato alle ampie possibilità di accesso all’università, e quindi ad una superiore specializzazione) . E’ variato solo il rapporto tra licei classici e scientifici, avendo questi ultimi superato le originarie diffidenze per essere scuole non abbastanza “astratte” ed inutili per essere accettate dalla piccola e media borghesia per i propri figli.

La provincia di Ragusa, al riguardo non fa eccezione. Confrontando i dati relativi agli ultimi 10 anni, si notano alcuni fenomeni di notevole importanza, illuminanti anche ai fini di un più generale discorso sulle sue condizioni economiche e sociale. La scuola è specchio fedele dei malesseri e delle carenze della società, anche quando viene offerta ed usata come valvola di sfogo per evitare l’esplosione di contraddizioni troppo laceranti.

La scuola elementare è quella che risente di meno la spinta di tali processi, segue molto da vicino le vicende demografiche, essendo già negli anni ’50 frequentate da quasi tutti i bambini in età scolare.

Così, nel 1968-69 si registra, rispetto ad un decennio prima, una leggera flessione nelle frequenze, (- 6, 2% ), dovuta ad una diminuzione della popolazione di quell’età (già nel ’60-’61 le frequenze scendono ·da 24.018 a 21.452).

La nuova scuola media, divenendo obbligatoria, viene frequentata da un numero sempre crescente di ragazzi. Dai 5.412 iscritti dell’anno scolastico 1958-59 (2917 scuola media, 2495 avviamento professionale) si passa ai 9.219 del1968-69, con un incremento del 70,3 per cento. Ma si è lontani dal pieno assolvimento dell’obbligo scolastico. Infatti complessivamente sono 31.639 i ragazzi che frequentano la scuola dell’obbligo (elementare + media), mentre sono circa 35.000 quelli compresi fra i 6 e i 14 anni. Si può calcolare che la media obbligatoria sia evasa dal 30 per cento circa dei ragazzi.

Ma le maggiori variazioni, ed i fenomeni che si prestano alle più interessanti osservazioni, si sono verificati nella scuola media superiore, che ha avuto, nell’ultimo decennio, una vera e propria esplosione. Dai 3.282 iscritti dell’anno scolastico 1958-59 si passa ai 7.390 del 1968-69, con un incremento del 125,9 per cento! Dai 631 diplomati relativi all’anno scolastico 1959-60 si passa ai 1.175 del 69-70 (+124,9 per cento). Gli istituti che hanno avuto la maggiore espansione sono il liceo scientifico(+ 402 per cento), gli istituti professionali(+124,2 per cento), i tecnici commerciali e per geometri (+ 123 per cento), il magistrale (+ 102,71 per cento). Ma anche il liceo classico fa registrare un sensibile incremento nel numero degli iscritti (+ 26,2 per cento). L’istituto tecnico industriale nasce nel 1960-61, con 9 classi e 273 alunni (sono gli anni dell’”oro nero”.

Nel1968-69, gli iscritti sono stati 340 (t 24,5 per cento); nel 62-63, giova ricordarlo, si era arrivati a 44 7 alunni, con 16 classi.

Riepilogando, il 31,9 per cento degli studenti medi superiori frequenta i licei (16,5 scientifici, 14,5 classici), il 20 per cento le magistrali. Le scuole “umanistiche” assorbono cioè il 51,3 per cento degli studenti.

Gli istituti tecnici in complesso hanno 2.274 iscritti (30,7 per cento), gli istituti professionali 1.082 (14,6 per cento).

Giovanni Spampinato

“Critico ‘Il Manifesto’ da sinistra. Il PCI ha fatto la scelta la via più difficile”

Indirizzata al fratello Alberto che studia a Pisa

Caro Alberto,

la correzione di tiro da me operata non deriva da coraggio, ma dall’acquisizione di nuovi elementi di giudizio e della più corretta sistemazione di conoscenze, ideologiche e storiche, precedenti. Hai ragione: un periodo ripensamento, arrivati a questo punto, si impone. La confusione e grande, e si rischia di compiere del lavoro inutile o addirittura pericoloso. Ma ripensamento non può significare, in ogni caso, disimpegno. Non c’è bisogno di ricordare il nesso teoria-prassi, per capire che il ripensamento avviene contemporaneamente a nuove forme di impegno. Ma queste cose non c’è bisogno di ricordartele. Per quanto riguarda il “Manifesto”, penso che bisogna cercare di capirne la collocazione precise. Credo che lo si possa criticare molto più da sinistra che da destra. A parte l’ideologia, bisogna vedere quale funzione oggettiva svolge, come viene utilizzato dalla stampa borghese. Fin dall’inizio, si e inneggiato agli scissionisti, e non solo in funzione strumentale anti-Pci. Credo che iniziative come quella del Manifesto sono pienamente funzionali al sistema: si indebolisce l’unica forza di sinistra capace di tradurre in termini di potere le esigenze delle masse, si genera ulteriore confusione nella sinistra di classe, si spostano gli obiettivi di lotta, proponendo mete rivoluzionarie storicamente problematiche, in considerazione della situazione internazionale di divisione in blocchi, e della logica che ne deriva. In questo senso mi sembra molto più seria e realistica, oltre che più vicina al marxismo-leninismo (nei fatti, non solo a parole) la posizione di un Pci a cui molto si può rimproverare, ma a cui si deve dare atto di un corretto inserimento nella dialettica politica democratica. Il Pci ha fatto la scelta più difficile e discutibile, accettando la battaglia democratica parlamentare. E sappiamo anche quanto è vigile la destra, e come cerca rabbiosamente, freneticamente, un inserimento prepotente nella scena politica, da cui, col centro sinistra, in fin dei conti è stata emarginata. Se ricorrono alle bombe, alle sommosse, ai tentativi di colpo di stato, è perché hanno difficoltà maggiori che per il passato. E se consideriamo il numero dei tentativi reazionari succedutisi dal ’64 ad oggi, dell’impegno che in essi è stato posto, e del fatto che sono regolarmente falliti, non possiamo non convenire che la strategia scelta dalla sinistra parlamentare ha dato risultati positivi. Questi tentativi diventeranno sempre più frenetici, in vista, dello spirare del settennato del “socialista” Saragat.

Quanto ho scritto può sembrare una difesa d’ufficio del pci. Comunque, e quello che penso adesso io. Per quanto riguarda il Belice, ho scritto un ampio articolo per l’Ods (l’Opposizione di Sinistra, quindicinnale della Federazione del Pci di Ragusa, ndr). Lo leggerai fra una decina di giorni. E’ soprattutto espositivo, e do all’azione delle masse un rilievo che, sinceramente, penso non abbia avuto nella realtà. Il finale problematico non pregiudica il giudizio positivo sul Centro di Partanna. Ho voluto anche tentare un recupero di fondo sulla questione meridionale-logica del capitalismo. Il discorso si inserisce in quello che si tenta sull’occupazione in provincia. Penso che il numero in gestazione sarà discreto.

Giovanni Spampinato

CAT

“Dopo la mia candidatura il gruppo Dialogo è entrato in crisi”

Indirizzata all’amico e confidente Giovanni che vive a Roma

Carissimo Giovanni,

sarà questa la quinta o sesta volta che provo a scriverti. Anzi, ho qui davanti una lettera del 13 per te, completa. Ma non mi piaceva, e non l’ho spedita. Non è però escluso che la alleghi alla presente, perché ci sono alcune cose che ritengo interessanti. La presente sarà però in sé conclusiva: scusa quindi le ripetizioni.

1) Sono candidato alle provinciali (ind. di sin. nella lista del Pci). Sono candidato “da eleggere” per Ragusa e città.

2) Questo fatto ha portato alla esplosione di una crisi acutissima nel gruppo “Dialogo”. Dico meglio: il fatto è stato sfruttato da una minoranza per provocare l’espulsione mia e di qualcun altro (Pippo Tumino è candidato alle comunali ): cominciavamo a dare fastidio per le nostre posizioni troppo a sinistra. Da qui all’accusa di strumentalizzazione poco ne corre. E questo si è cercato di sostenere, che noi portavamo acqua al mulino del Pci.

3) ma la crisi del gruppo ha radici più profonde, e se, strumentalmente, si è voluto ricorrere a metodi ed argomentazioni da caccia alle streghe, la verità è che il gruppo ha delle contraddizioni interne che, oggi, ritengo insanabili. In pratica, esiste una spaccatura profondissima fra una “sinistra”, che sostiene la necessità di un concreto lavoro di base (confronto continuo con la realtà, con le categorie più sfruttate, lavoro con la base, verifica delle istituzioni (partiti, sindacati, amministrazione locali, ecc.), un “centro”, di matrice cattolica, che accetta sì in linea di principio il lavoro di classe, e che, dichiarandosi rivoluzionario, vede questa “rivoluzione” come presa di coscienza “da parte di tutti”. C’è poi una consistente “palude”, formata da fannulloni costituzionali, che ideologizzano il loro farniente e accusano quelli che lavorano (guarda caso, è poi la “sinistra” che lavora!), perché “strumentalizza” il gruppo.

4) Insomma, al di là del fenomeno contingente ragusano, questa mi sembra una crisi più profonda, dello spontaneismo in quanto tale. Nel momento in cui ho sbattuto la testa con la realtà più concretamente che per il passato, e ho dovuto prendere delle posizioni, mi sono accorto che occorre una organizzazione che permetta uno sbocco al tuo lavoro.

5) Lo studio di Lenin, contemporaneo allo svolgersi di questa crisi del gruppo, mi ha permesso una più corretta interpretazione del fenomeno, e mi ha nello stesso tempo spinto a rivalutare il partito.

6) questo processo di maturazione non è stato solo individuale, ma dell’interno “gruppo di studio” (ritornato alle ridotte dimensioni del suo nucleo originario: io, Pippo e Franco). Ma le nostre idee le facciamo circolare, e altri tre quattro giovani sono vicini a noi.

7) In una prospettiva non lontana vediamo possibile un nostro inserimento nel partito. Potremo entrare in cinque-sei, e molto probabilmente in numero maggiore. La situazione locale è tale da permettere un lavoro politico serio.

Come vedi, ho cambiato di molto le mie posizioni. C’è un lavoro immenso da fare, e ci vuole pazienza e convinzione. Ogni tanto mi sento stanco, spossato.

Non si tratta di impazienza, o del desiderio di risultati immediati. Forse si tratta soprattutto di problemi personali, di insoddisfazioni, della mancanza di evasioni. Forse è anche la naturale reazione a periodi di lavoro troppo intenso. Ora sto attraversando uno di questi momenti. Ma non mi posso permettere debolezze. Sono stanco, stanco, stanco.

Adesso ti lascio

Ciao

Giovanni Spampinato

CAT

“Io e Pippo ci siamo candidati e siamo stati sottoposti ad un vero e proprio processo”

Indirizzata all’amico e confidente Giovanni che vive a Roma

Carissimo Giovanni,

ho provato a più riprese a scriverti, ma poi, per un motivo o per l’altro non sono riuscito a completare. Spero sia la volta buona.

Gli avvenimenti delle ultime settimane non sono classificabili fra l’”ordinaria amministrazione”. La. mia maturazione – soprattutto ideologica- ha avuto una straordinaria accelerazione. La scoperta di Lenin si é perfettamente innestata al momento della crisi di Dialogo, aiutandomi ad interpretare con strumenti nuovi le varie posizioni e le varie tendenze, ed aiutandomi a scegliere la più coerentemente rivoluzionaria.

Ma un po’ di cronaca non guasta. Circa tre settimane fa, insieme ad altri amici, fui messo sotto accusa per avere “strumentalizzato” Dialogo, a favore del PCI. L’accusa era ridicola, e condotta con evidenti fini “strumentali” da elementi che non avrebbero nemmeno avuto il diritto di parlare. Insomma, non sto a tediarti con i particolari, che oltre tutto ti sarebbero incomprensibili, non conoscendo le persone e le situazioni locali. Ti dirò solo che quanto è avvenuto (che significa la conclusione della mia esperienza nel gruppo spontaneo, e la morte delle stesso Dialogo) è il frutto di un pesante intervento da parte di un tizio, giovane che sotto un abile paludamento ultra-rivoluzionario, conduce da tempo l’azione di pompiere di ogni forma di movimento che vada, a suo avviso, troppo a sinistra. Stavolta, il motivo occasionale, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, è stato l’inserimento mio e di Pippo Tumino nelle liste del PCI, come indipendenti (rispettivamente per le provinciali e le comunali). La discussione nel gruppo è stata molto interessante, e ha dimostrato in molti una notevole autonomia e maturità di giudizio, nei più il completo sbandamento e la confusione più totale, oltre alla paura delle spettro del comunismo.

Siamo stati sottoposti ad un vero e proprio processo, per aver lavorato in una certa direzione, o semplicemente per avere lavorato. Chi muoveva le accuse più velenose e più stupide era proprio quella nutrita ala di infingardi che il compagno Lenin avrebbe bollato come “chiacchieroni”.

In conclusione: nel gruppo si é prodotta una spaccatura profonda, insanabile. E si tratta di una crisi da cui non si risolleverà più. Naturalmente, la scomparsa di Dialogo fa comodo alla conservazione, questo non si può negare: il gruppo ha fatto delle attività per niente rivoluzionarie, e ha avuto successo proprio perché non ha mai definito chiaramente la sua collocazione politica, non per scelta tattica ma per impreparazione e immaturità. In fondo, il boom di Dialogo è stato un grosso equivoco, uno dei più grossi degli ultimi vent’anni, a Ragusa. Nel momento in cui si “rischiava” di uscire dall’equivoco, qualificando l’azione (scelta di classe chiara, antifascismo, impegno concreto nella realtà, adesione alla realtà) tutto è franato. E adesso so che era inevitabile che finisse così, che era necessario. La lettura del “Che fare?” mi é stata molto utile. E sono arrivato al partito, o meglio alla rivalutazione del partita.

E’ stato un cammino lungo e tortuoso, ma credo che ora posso fare la scelta in piena libertà, sapendo esattamente (o meglio, con molto meno approssimazione) i termini della questione. Se si vuole intervenire sulla realtà per cambiarla, bisogna possedere uno strumento di interpretazione (l’ideologia) e uno strumento di azione (il partito). Quanto si fa senza e al di fuori di questi due strumenti è inutile, ai fini della rivoluzione (anche se ha un suo valore specifico).

Ma ho fatto molta confusione. Bisognerebbe parlarne a lungo, di queste cose, e non solo per lettera. Mi accorgo di non averti spiegato tutto, e forse mi sono lasciato prendere la mano da una certa enfasi. Scusa.

Dicevo che sono candidato. Con ogni probabilità, sarò eletto, perché il partito mi appoggia. Praticamente, sono il candidato “sicuro” di Ragusa-città. Quando ho accettato, questo non lo sapevo, né prevedere l’evoluzione del mio pensiero sul partito. Non ho idea di cosa significhi fare il consigliere provinciale. Mi toccherà pure farmi un po’ di campagna elettorale, il che mi mette un po’ in imbarazzo.

Per il resto, tutto procede come al solito, cioè piuttosto maluccio. Pazienza, in attesa di tempi migliori. In compenso, lo studio va piuttosto bene.

Aspetto notizie da parte tua. Per voi la lotta è più seria, avete le regionali. Ti stai impegnando in qualche modo?

Ti saluto. E, questa estate, cerchiamo di incontrarci…

Ciao

Giovanni Spampinato

CAT

“A Dialogo mi accusano di strumentalizzare il gruppo”

Indirizzata all’amico e confidente Giovanni che vive a Rom

Ragusa, 9 maggio 1970

Carissimo Giovanni,

mi faccio vivo io, dato che tu non scrivi. Negli ultimi dieci giorni sono successi parecchi fatti rilevanti, che hanno accelerato in me il processo di revisione e maturazione ideologica, iniziato poco tempo fa con lo studio di Marx e Lenin. In breve, si tratta di questo: insieme con qualche altro, sono stato messo sotto accusa all’interno di Dialogo. II reato contestato è di “strumentalizzazione” a favore del PCI. In pratica, siamo stati accusati di avere condotto del lavoro (lavoro di base in campagna, organizzazione della manifestazione del 25 aprile) per nostri fini personali, forzando deliberatamente la mano al gruppo, che non era maturo o addirittura non sarebbe stato d’accordo (il tutto era stato deciso in sede di riunioni plenarie).

La verità naturalmente è un’altra: da parte di alcuni elementi, interni ed esterni al gruppo, si teme che si vada troppo a sinistra, che “si perda di credibilità”. Al di là delle costruzioni ideologiche che si sono fatte per motivare la nostra (pratica) espulsione, c’e una manovra a largo raggio, iniziata parecchio tempo fa da elementi cattolici moderati, per fare tornare il gruppo all’antico costume (circolo semi-ricreativo).

Giovanni Spampinato

CAT