Giovanni si sentiva in pericolo

Nell’aprile di quest’anno il nostro corrispondente aveva ritenuto necessario compilare una “memoria” riservata sulle trame dei fascisti nel Ragusano che sarà consegnata alla magistratura. Aveva notato molte significative coincidenze, sapeva che il suo telefono era controllato dalla polizia. “Potrebbe significare, ma questo sembra azzardato, che si sta costruendo non so quale provocazione sulla mia persona, dato che negli ultimi tempi sono venuto a conoscenza di fatti gravi, e forse si sospetta che sappia molto più di quanto non dica” scriveva riferendosi al delitto Tumino e alle manovre fasciste.

Palermo, 4 novembre 1972 – “Potrebbe significare, ma questo sembra azzardato, che si sta costruendo non so quale provocazione sulla mia persona, dato che negli ultimi tempi sono venuto a conoscenza di fatti gravi, e forse si sospetta che sappia molto più di quanto non dica”.

Così Giovanni Spampinato – il nostro corrispondente ragusano, assassinato dal figlio del presidente del Tribunale di Ragusa, Roberto Campria, venerdì scorso – concludevaun rapporto sulle attività neofasciste nel Ragusano, consegnato alla Federazione di Ragusa del PCI il 7 aprile, un mese esatto prima delle elezioni di maggio.

Scriveva della sua morte, quasi sorridendoci sopra con la serena modestia che distingueva la sua attività di giornalista attento ed intellettuale consapevole del suo ruolo in una città come Ragusa.

Sono anche, queste parole e tutte le altre che stanno scritte sulle cinque facciate manoscritte del rapporto, il più bello elogio funebre che possa esser detto di un cronista.

Ma quel cronista se l’è scritto da solo, a noi tocca leggere. Continua a leggere

Erano in molti a temere i servizi di Spampinato

Ragusa, 4 nov 1972 – Ad una settimana esatta dalla barbara esecuzione del compagno Spampinato, l’inchiesta ha compiuto un giro di boa che può rivelarsi decisivo per l’accertamento dei retroscena che l’assassino Roberto Campria, tenta disperatamente di nascondere con quel suo grottesco tentativo di far passare il delitto per un gesto assolutamente immotivato, del tutto gratuito, forse addirittura compiuto in stato di ipnosi.

Una volta fatta giustizia di questo grossolano espediente mistificatorio (ed il Sostituto procuratore generale di atania, Auletta, proprio questo ha fatto, contestando al Campria dopo l’interrogatorio, l’aggravante decisiva della premeditazione oltre a quella della minorata difesa della vittima impossibilitata a difendersi dai colpi di ben due pistole) è giocoforza andare infatti alla ricerca di un movente. E non di uno qualunque, ma di un movente che risponda al duplice requisito della logica e della consistenza. Continua a leggere

C’è una “trama nera” dietro il delitto di Ragusa

Inquietanti retroscena, misteriose confessioni e tanti elementi fanno pensare ad abili e cinici registi. Il giovane omicida strumento dell'”organizzazione”?

Il meccanismo di autodistruzione insito nella strategia del figlio 32enne del presidente del tribunale di Ragusa che ha ucciso il corrispondente de l’ORA e de l’Unità, Giovanni Spampinato, come esso era trapelato dopo l’interrogatorio di mercoledì, è già scattato per la prima volta ieri. Il sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Catania, il cui ufficio sta conducendo, come è noto, l’istruttoria, ha ritoccato infatti l’originario, e per certe omissioni sconcertante, ordine di cattura spiccato contro Campria e vi ha aggiunto due significative aggravanti. Che sono: la premeditazione e le “condizioni di minore difesa pubblica e privata” (omicidio avvebuto di notte, con la vittima nella impossibilità assoluta di difendersi). Continua a leggere

Campria costretto a coprire qualcuno?

L’uccisione di Giovanni Spampinato. Questa ipotesi viene confermata dall’interrogatorio pieno di bugie e di reticenze. La difesa vuol giocare la carta della seminfermità mentale dell’assassino. Ieri perquisizioni

Un passaporto per la seminfermità mentale: questa è sembrata ieri la strategia difensiva che Roberto Campria ha delineato (o diligentemente ripetuto?), durante le tre ore di interrogatorio al quale è stato sottoposto nel carcere di Modica dal sostituto procuratore generale Auletta. Un interrogatorio contrappuntato da bugie, amnesia e lacrime.

Prima bugia: afferma di non aver mai né visto né conosciuto l’ex marò della Decima Mas Vittorio Quintavalle, la cui inquietante e finora indecifrata presenza nel ragusano si riflette non poco sul delitto Tumino.

C’è tuttavia gente, a Ragusa, che riferisce di avere visto insieme Campria, Tumino e Quintavalle. Sembra perfino che durante uno degli incontri di Giovanni Spampinato con Campria i due abbiano incontrato Quintavalle che Campria avrebbe chiamato fermandocisi a chiacchierare. Allora: perché Campria dice di non conoscere il fascista Quintavalle, quando sa benissimo che un sacco di gente a Ragusa li ha visti insieme?

Seconda Bugia: Campria dice di non avere avuto mai interessi né contatti politici, specialmente verso destra. Ma non era uno dei pochi amici dell’ingegner Angelo Tumino, la cui milizia politica nel MSI era arcinota a tutti e quindi anche al Campria?

Negando i suoi contatti con gli ambienti della destra ragusana (Tumino, si ricordi, era in rapporti non precari con l’onorevole missino Cilia, a sua volta ben collegato al principe Borghese e ai tempi di “Ordine Nuovo” anche con l’ultrà Pino Rauti); Roberto Campria tenta perfino di giocare la carta di un suo sinistrismo “in divenire” e rileva che gli unici discorsi politici egli li faceva proprio con Giovanni Spampinato.

Tutto ciò, sarebbe venuto fuori dall’interrogatorio di ieri, anche se le indiscrezioni trapelano con molta difficoltà e non sono sempre controllabili. Le amnesie sono molto più numerose: in pratica, Roberto Campria non ricorda quasi nulla. Della forsennata sparatoria con la quale ha ucciso Giovanni Spampinato riesce a dire soltanto: “Non so perché l’ho fatto. Io volevo bene a Giovanni, lo stimavo. La macchina si fermò, io scesi e mi misi a sparare”.

E’ già tanto che ieri abbia detto almeno questo: perché la sera di venerdì, al sostituto procuratore Fera che gli chiedeva di dirgli il perché, Campria non seppe o volle dire altro che: “Non ricordo più nulla”. Si era creduto fino ad oggi che quella sera avesse detto più o meno: l’ho ucciso perché lui aveva ucciso moralmente me, o qualcosa di simile. Macché, neanche questo disse: troppo tempestivo per essere uno smemorato.

Ora, una posizione di questo tipo sarebbe contraddittoriae decisamente controproducente per qualsiasi altro imputato di omicidio: in casi come questo, la provocazione è il meno che l’assassino dovrebbe essere indotto a prospettare con attendibili margini di verosimiglianza o quanto meno di speranza. Campria non tenta neppure: punta tutto, fin dai primi minuti, sulla carta della seminfermità mentale.

Le uniche domande alle quali abbia risposto con grande esattezza di dettagli sono state proprio quelle relative alle sue condizioni di salute mentale. Sembra infatti che abbia ricordato perfettamente una visita neurologica alla quale anni fa fu sottoposto a Roma; ed un’altra cui lo sottopose il professore Pisana, direttore dell’ambulatorio provinciale di Igiene Mentale dove lo stesso lavorava, quando e come decideva di farlo. Di questa ultima visita – avvenuta pochi mesi fa – ha specificato che non ne seguì la terapia consigliatagli.

Neurolabile e per giunta ribelle alle cure prescritte dal medico: come non credere allora che le due pistole gli siano saltate in mano dal borsetto e così con autonoma determinazione si siano messe a rovesciare proiettili?

Omicidio senza movente dunque omicidio di un folle: l’equazione difensiva è estremamente chiara, ma ci sembra altrettanto incredibile.

Soprattutto, conferma nell’ipotesi già fatta che Roberto Campria sia, abilmente manovrato, costretto a coprire qualcuno. Ciò riconduce immediatamente al delitto Tumino, sul quale ieri il sostituto Procuratore Generale Auletta sembra abbia a lungo ma inutilmente insistito durante l’interrogatorio, e alla trama nella quale quel delittò si maturò. Quella trama è nera, in uno sconcertante intreccio di interessi che vanno dal commercio clandestino di materiale archeologico alla vendita di quadri rubati, dal contrabbando al traffico di armi e esplosivi: tutto un vastissimo campo di indagini che nessuno finora ha mai affrontato con un minimo di decisione.

Anche in questo senso ieri avrebbe tentato di scavare il dott. Auletta, ma sembra inutilmente. Roberto Campria ha una memoria di ferro, quando si tratta di non ricordar nulla.

Ogni risposta negativa prepara a una contraddizione: tutto l’interrogatorio poggia appunto su tali difficili rapporti. In ogni caso, il dottor Auletta ha dichiarato che quelle tre ore trascorse nel carcere di Modica gli bastano, e che per quanto lo riguarda l’interrogatorio è finito.

Ieri pomeriggio sono state effettuate alcune perquisizioni, altre ce ne sono state nel corso della notte. In casa Campria sembra siano stati sequestrati alcuni appunti relativi al caso Tumino: ma è difficile che possano avere troppa importanza, considerato che sono stati trovati ben cinque giorni dopo, in una casa che nessuno aveva pensato di sigillare dopo un primo rapidissimo sopralluogo avvenuto la notte stessa dell’omicidio di Spampinato.

Secondo certe voci raccolt in via Giovanni Meli dove appunto è la casa, il giorno prima il Presidente del Tribunale (titolare della funzione anche se attualmente “ammalato” e in “esilio” a Caltagirone) sarebbe stato visto uscire dal portone: del resto nessuno avrebbe potuto impedigli di tornare a casa sua.

Un’altra perquisizione è stata effettuatain casa di due vecchie zie dell’avvocato Cavalieri – padre dell’ex fidanzata di Roberto Campria – dove sarebbe stata trovata la pistola-catenaccio che, restituita da Campria dopo la rottura del fidanzamento all’avv. Cavalieri, fu da questi consegnata alla Procura. Su questa pistola, come è noto, è attualmente in corso una perizia balistica a Siracusa.

Infine una terza perquisizione è stata compiuta la socrsa notte in via Fiume, dove Roberto Campria stava arredandosi un appartamento dove andare a vivere da solo

Mario Genco

Ragusa: un pretore crede di essere “padrone del vapore”

RAGUSA – “Si viene sempre più diffondendo fra i cittadini la sensazione che una sorta di ostilità preconcetta ispiri l’azione del pretore contro gli amministratori comunali e che egli abbia assunto nei fatti il ruolo di punto di riferimento di tutte le forze retrive e parassitarie di Ispica.

I comunisti, mentre si riservano di fare i passi dovuti presso il Consiglio Superiore della Magistratura e il ministero di grazia e giustizia, fanno appello alla più ampia mobilitazione popolare perché vengano definitivamente sconfitte le manovre della DC e della destra e cessi ogni forma di persecuzione e di intimidazione contro le forze popolari della città”.

In questi termini la federazione comunista di Ragusa ha preso posizione nei riguardi della grave e pesante situazione che si è venuta a creare negli ultimi anni a Ispica, un grosso centro agricolo amministrato da una giunta di sinistra, a causa di una lunga ininterrotta serie di clamorose iniziative prese dal pretore, dottor Ignazio Augusto Santangelo.

Ma il manifesto che riportava questa presa di posizione non ha potuto essere pubblico: il vicepretore di Scicli ne ha infatti ordinato il sequestro che è stato eseguito in tipografia con grande urgenza dagli stessi carabinieri che avevano denunciato l’esistenza del documento. Motivazione del gravissimo provvedimento: alcune frasi (quelle che abbiamo riportato in apertura) costituirebbero reato.

Il pretore titolare di Scicli, dal quale con ogni verosimiglianza è stata ispirata l’azione repressiva, è lo stesso dottor Santangelo pretore anche della vicina Ispica oggetto delle accuse del PCI; e anche questo è sintomatico del clima creato in quel di Ispica da un magistrato che non ha avuto difficoltà a dichiarare ad un compagno che per lui è “inconcepibile” che un’operaio possa amministrare la cosa pubblica. (Il pretore Santangelo, gioverà ricordarlo, assurse all’onore della cronaca nazionale circa un anno fa per essere stato il primo magistrato in Italia ad inviare alla Corte costituzionale la legge De Marzi-Cipolla). Ma il dottor Santangelo – è questo che gli viene contestato dal nostro partito, dai compagni socialisti, dai sindacati e da tutti i cittadini democratici di Ispica – non si limita ad esprimere le sue personali convinzioni politiche di ricco agrario (ed è già grave che un magistrato ignori così clamorosamente la Costituzione!); ma il dr. Santangelo parteggia attivamente, come si legge nel manifesto della federazione comunista, per “tutte le forze retrive e parassitarie di Ispica”. E l’arma che adopera è proprio quella giudiziaria, usata come strumento di “persecuzione e di intimidazione contro le forze popolari della città”.

L’azione instancabile del dottor Ignazio Santangelo ha portato praticamente alla incriminazione di tutta la giunta per una serie infinita di reati. Il compagno Stornello, sindaco socialista di Ispica è stato sospeso dalla carica, dall’impiego e dallo stipendio per una discutibilissima aggravante per un reato per il quale non è stato ancora giudicato.

Contro il grave provvedimento repressivo della pretura di Ispica si è già levata la protesta dei parlamentari comunisti. Il compagno senatore Cipolla ha presentato una interrogazione perché sia fatta luce su questo e su altri fatti che configurerebbero gravi irregolarità da parte del Pretore Santangelo.

Giovanni Spampinato

CAT

Ragusa: La tara mercato. Come si riforma il caro prezzi

RAGUSA, 7 ott – Otto comuni, duecentosettantamila abitanti, nella provincia di Ragusa, opera un numero impressionante di mercati ortofrutticoli.

Un migliaio di famiglie vive solo dei proventi che assicurano i passaggi di frutta e verdura attraverso i mercati all’ingrosso. Sono miliardi che gravano in buona parte sulle tasche dei consumatori. Da questa “taglia” dei mercati certo non traggono benefici né i dettaglianti né i produttori: questi ultimi si vedono spesso rapinati dei loro prodotti, attraverso operazioni di stampo mafioso. I dettaglianti si vedono costretti a comperare merce spesso di qualità scadente a prezzi esorbitanti: non sempre possono “caricare” sul consumatore le esagerate maggiorazioni imposte dai grossisti, e per certi generi vanno in pura perdita.

Molto diffuso è il sistema di porre in commercio cassette che hanno solo la “faccia” pulita: sotto un primo strato di merce dall’aspetto invitante si trova frutta o verdura marcia, che si deve buttare (in questo la responsabilità è però anche dei produttori).

Solo nel mercato di Vittoria negli ultimi tempi i vigili urbani hanno esercitato un severo controllo sui prezzi e sulla qualità: parecchi “posteggianti” sono stati contravvenzionati e denunciati per avere posto in vendita prodotti avariati, e considerevoli quantità di merce avariata sono state sequestrate o distrutte.

Negli altri mercati in genere si preferisce chiudere un occhio: uno strano modo di fare gli interessi della collettività da parte degli amministratori.

Mercati all’ingrosso esistono in centri grandi e piccoli; a Ragusa, Vittoria, Comiso, Modica, Scicli; ma anche a Santa Croce e Donnalucata. Questi ultimi, contrariamente alle apparenze, sono attivissimi, essendo vicini ai centri di produzione dei primaticci. Insieme con quello di Vittoria, sono al centro di intensissimi traffici che

escono fuori dagli angusti confini della provincia. Molta merce parte per il nord e anche per l’estero. Un giro di affari di miliardi.

Al mercato ortofrutticolo di Ragusa esistono 13 posteggi. Tra titolari, “sorveglianti” e ragionieri ed altri, sono almeno 45 le persone che vi lavorano in maniera stabile.

Oltre ai 13 posteggi (più o meno regolari), ci sono altre decine di persone che si muovono del tutto abusivamente all’interno del mercato: pseudo-produttori, pseudo-commercianti che vivono parassitariamente sui passaggi intermediari della frutta e della verdura, Molti sono puri e semplici “venditori di legno”: con l’inganno della tara-merce, vendono al prezzo della frutta le cassette di imballaggio di legno. Gli utili sono grossi e sicuri.

Come si arricchisce il “posteggiante”.

I “posteggianti” (figura ibrida e discutibile, a mezzo fra l`intermediario e il grossista) in genere realizzano con la loro attività utili considerevolissimi: tutti hanno un tenore di vita abbastanza alto, la maggior parte, partendo praticamente da zero, sono arrivati in pochi anni a posizioni economiche invidiabili: appartamenti di lusso, automobili di grossa cilindrata (sempre nuove) e cosi via.

Al “posteggiante” per la sua opera è dovuto l”8 per cento del prezzo della merce. Il produttore porta la sua merce al mercato, sceglie uno stand (un “posteggio”), e gli affida la sua frutta o la sua verdura. Il “posteggiante” tratta per suo conto la vendita, e trattiene al momento del pagamento l”8 per cento: una percentuale che rientra nella media nazionale.

Ma il “posteggiante” è spesso anche grossista. Cioè egli compera la frutta alla produzione, e la immette sul mercato attraverso il suo stand. (Sembra che il procedimento sia illegale, in quanto appunto, il posteggiante“ non è commerciante: tra l’altro questo consente indubbiamente considerevoli evasioni fiscali con l’IVA non si capisce come potrà continuare questa attività: se non sono commercianti, ma agiscono come tali, come si calcolerà il “valore aggiunto”?).

Naturalmente, il posteggiante-grossista ha interesse a vendere prima di tutto la sua merce. Spesso il produttore, dopo avere visto che la sua frutta rimane invenduta, si sente proporre di disfarsene sottocosto: il “posteggiante” gli fa il “favore” di comperarla lui.

Cosi va a farsi benedire la Funzione conclamata del “posteggiante”, che dovrebbe fare gli interessi delle due parti tra le quali fa da intermediario: il produttore e il dettagliante.

Il dettagliante è praticamente alla merce del “posteggiante”, e si vede imporre prodotti e merce che spesso non è di suo gradimento, o per la qualità o per il prezzo. l mezzi di pressione sono sostanzialmente due: o il ricatto o il boicottaggio. Il limitatissimo tempo di contrattazione (non più di mezz’ora fra l’apertura del mercato e |’apertura degli esercizi) non facilita i dettaglianti nella difesa dei loro interessi.

Parlare di mafia sarebbe troppo. Ma alcune caratteristiche mafiose il fenomeno le ha: l’intimidazione e il parassitismo. Pochi riescono a superare il timore di indisporre i piccoli boss del mercato ortofrutticolo: il produttore che lo facesse rischierebbe di non vendere più, dovrebbe cercare altri mercati, il dettagliante sarebbe più tartassato che mai.

Carmelo Marù, un posteggiante da noi intervistato, sostiene the i prezzi non possono essere più bassi, e che da parte della categoria non viene esercitata nessuna speculazione, in questo lavoro come tanti altri.

De Luca, “il palermitano”, che vende frutta e verdura al dettaglio, non è dello stesso parere. “lo vendo al minuto a prezzi più bassi di quelli praticati all’ingrosso al mercato. Mi spieghi lei come faccio. Le assicuro che è cosi: i prezzi che faccio io non li fa nessuno. E vendo al minuto una quantità maggiore di merce di quanto non vendano all’ingrosso due “posteggianti” messi insieme. In un anno dal mio negozio passano almeno 10 mila cassette di frutta. Ho venduto al minuto la fagiola a 500 lire, quando alla produzione si pagava 800. Badi, non c’è trucco; ma cerchi di spiegarmi come facevo”.

La truffa della tara-merce

De Luca si rifornisce spesso nei mercati di produzione, superando la lunga e pesante catena parassitaria della intermediazione. “Io lavoro, lavoro molto, e faccio il commerciante, non lo speculatore: perché se no nei sei anni che sono stato a Ragusa avrei potuto fare i milioni. Invece io penso che se lavoro oggi debbo lavorare anche domani, voglio dire che un commerciante non deve approfittare delle condizioni a lui favorevoli, come la penuria di certi generi, per arricchirsi. Cosi quello che risparmio con l’acquisto diretto ai mercati di produzione lo faccio godere al consumatore. Tornando alla fagiola: io caricavo il mio camioncino a Donnalucata. Comperavo 500 chili di questo, 300 di quell’altro, tutti prodotti clic non costavano quanto la fagiola, che io pagavo 800 lire. Poi mi facevo i conti: ho speso tanto, debbo guadagnare tanto. Perciò posso fare questi prezzi, guadagnando il giusto. Ripeto, io faccio il commerciante, non lo speculatore. Per questo sono criticato al mercato: ma i posteggianti, anche se mi criticano, mi rispettano, perché io mi faccio rispettare”.

Quanto costa ai Ragusani il passaggio della frutta e della verdura attraverso il mercato? Difficile, forse impossibile calcolarlo. Difficile sapere quante tonnellate di merce passano ogni giorno dal mercato. Ma anche a saperlo, non basterebbe calcolare l’8 per cento di intermediazione: c`è da considerare la truffa della tara-merce, ci sono da considerare gli infiniti trucchi per far lievitare i prezzi.

Il “buon cuore” del grossista

Il “posteggiante“ al mattino da un’occhiata in giro: calcola la quantità di merce affluita al mercato, e se vedono che è poca, che lui ne ha una certa quantità, fa il colpaccio. Gli abusivi che vanno a caricare con i camion sui luoghi di produzione scelgono i prodotti più cari e per i quali è possibile fare grosse speculazioni: calcolano per es. che in una giornata, col carico di un camion, debbono realizzare mezzo milione, e ci riescono.

I controlli sono cosi allentati che sembrano quasi inesistenti. Prezzi e qualità sono lasciati al buon cuore degli speculatori.

Allora, quanto costa il mercato ad una comunità che certo non è prospera (13 posteggi, più gli abusivi, sono una cosa mostruosa per una città come Ragusa: ne basterebbero un paio bene organizzati)?

Considerando che almeno 100 persone vivono (e non stentatamente)  e spalle del mercato, si può con tutta tranquillità calcolare sull’ordine di alcune centinaia di milioni.

Con quale incidenza sui prezzi al consumo è facile immaginare.

Giustizia e potere: Bilancia truccata

Il convegno dibattito di Siracusa

Qual è il ruolo della magistratura alla luce degli sviluppi giudiziari delle più gravi vicende politiche –  Il nesso fra potere politico e amministrazione della giustizia  – La repressione come strumento di governo

SIRACUSA, 19 SET 1972 – La giustizia può essere apolitica? Può il magistrato applicare le leggi ignorando ciò che avviene intorno a lui? L’incompatibilità fra politica e giustizia fu uno dei luoghi comuni più cari ai fautori del regime fascista.Ma in realtà non sfugge a nessuno che il magistrato che dichiara di non voler fare politica fa per ciò stesso una precisa scelta: applicando certe leggi (o scegleindo fra leleggi) opera una scelta conservatrice al servizio del potere dominante. E’ recente il caso di un pretore che non ha giudicato reato la ricostituzione del partito nazista perché la legge Scelba del 1952 non prevede il caso specifico del partito nazista!
   Sul ruolo della magistratura interrogativi e perprlessità sono sorti preoccupanti e frequenti negli ultimi anni. Le vicende collegate alla strage di Milano e al processo Valpreda, per citare l’esempio più clamorosoe politicamente più importante per tutte le implicazioni che esso ha comportato e comporta, hanno dato un duro colpo alla fiducia dei cittadini nella giustizia. La tragica fine di Feltrinelli, e le strane indagini sulle “brigate rosse”, che hanno portato ad arresti discutibili anche sul piano della procedura, dimostrano che fra giustizia e potere esiste un nesso preciso, e che in magistrati in ogni caso, anche nell’applicazione delle leggi contro i “reati comuni”, fanno una scelta politica; e il più delle volte essa è conservatrice.

   Più spesso questa scelta diventa costante applicazione di norme del codice penale fascista che sono in stridente contrasto con la Costituzione. Da qui per esempio la repressioen dei cosiddetti “reati d’opinione”.

   Il 2 dicembre di quattro anni fa avvenivano i tragici fatti di Avola. Per i due braccianti uccisi non c’è stata giustizia: il caso è stato archiviato. Sindacalisti e braccianti che avevano partecipato allo sciopero vengono denunciati per una incredibile serie di reati. Fra i denunciati vi sono pure tutti i lavoratori feriti dalle raffiche di mitra sparate dalla polizia.
  Da allora a Siracusa è un crescendo di iniziative repressive. Nel 1971 viene ordinato lo sgombero coattivodelle case occupate dai lavoratori disoccupati; contro di loro fioccano le aggravanti più strane.

  Il 1° maggio di quest’anno viene impedita una manifestazione organizzata dalla federazione anarchica. Si comincia a chidere con sempre maggiore frequenza la emissione di ordini di cattura per reati politici. Cominciano le incriminazioni per i reati di vilipendio.

   “Non è questa una maniera politica di interpretare le norme?”, si è chiesto l’avv. Umberto Di Giovanni, che ha illustrato le vicende giudiziarie degli ultimi anni nel Siracusano nella sua introduzione al convegno-dibattito “Giustizia e potere: dove va la magistratura” che si è svolto nei giorni scorsi a Siracusa.

   L’argomento ha suscitato vivo interesse, per la sua attualità e per la notorietà di alcuni dei relatori, fra i quali erano dirigenti “Magistratura Democratica”, e avvocati noti per aver partecipato a importanti processi politici, e l’avvocato genovese G. B. Lazagna, in libertà provvisoria dopo essere stato per 5 mesi in carcere perché ritenuto coinvolto nelle attività delle fantomatiche “brigate rosse”.

         “INDIPENDENZA” E VERITA’

   L’avv. Salvo Riela, deputato nazionale comunista, membro della Commisisone Giustizia della Camera, ha detto che con sempre maggiore frequenze si sente parlare di repressione, cioé di iniziative tese a conculcare la libertà dei cittadini prese dalla polizia e dalla magistratura per interesse della classe politica dominante.

   Tutto questo trae origine dall’esistenza di una legislazione non solo inadeguata, ma che difende dei valori che non sono più attuali nel nostro paese e nella nostra società, ma che riesce comoda alla classe dominante. Le lotte contadine e operaie sono costantemente contrassegnate da iniziative della polizia e della magistratura, per cui ad un certo numero di azioni sinadacali corrisponde immancabilmente un certo numero di azioni repressive. Il momento cruciale che abbiamo raggiunto negli ultimi anni – ha proseguito l’avv. Riela – possiamo localizzarlo intorno alle lotte studentesche e sindacali del 1968 e degli anni succesivi, che avevano obiettivi molto più avanzati di quelli del passato. Questo ha portato non solo a far crescere il clima repressivo esistente nel paese, ma ha fatto anche scoppiare all’interno stesso della classe dominante delle contraddizioni e dei ripensamenti. Anche all’interno della magistratura italiana si sono fatte strada tesi democratiche, ciò che non è stato indolore perché proprio dalla preoccupazione per questo nuovo corso preso da molti giovani magistrati ha preso vigore un’ondata reazionaria all’interno della magistratura stessa.

  L’avv. Riela ha proseguito parlando dele vicende connesse al processo Valpreda. “Subito dopo la strage di Milano le forze democratiche capirono che non era la pista anarchica quella che avrebbe portato alla scoperta dei responsabili delle bombe, ma che essi andavano cercati fra i fascisti. Ma la scelta operata da precisi settori della magistratura italiana ha allontanato per lungo tempo dalla ricerca della verità, e si è insistito in tesi insostenibili. Oggi la stessa cosa sta avvenendo con le vicende connesse alla morte di Feltrinelli, con i casi di Castagnino, di Lazagna, di Vittorio Togliatti, utilizzati come tappe di una marcia di avvicinamento alle forze della sinistra italiana”.

   Ha quindi preso la parola l’avv. Edoardo Di Giovanni del Comitato di lotta contro la strage di Stato, difensore di Lazagna e degli anarchici al processo Valpreda. “La strage del 12 dicembre è stato il punto più alto di una strategia della tensione e de che confermano come quelle indaqginil terrorismo, strategia che anche oggi si sviluppa non solo con un uso più scoperto dei fascisti da parte della classe padronale, ma anche di quelle istituzioni dello Stato che erano e sono complici. Oggi sappiamo sulle vicende connesse a quegli attentati e alle indagini che li seguirono episodi confermano come quelle indagini si siano svolte coscientemente su un solo binario.

   “E’ in corso un’inchiesta a carico del giudice Stitz, cioè del magistrato che ha portato alla scoperta della ‘pista nera’ che prima si era voluta ignorare. Una ragazza, contrariamente a quanto prevede lo stesso codice, è stata tenuta in stato di fermo per tre mesi per una sua presunta relazione con vicende delle ‘brigate rosse'”.

   “Il processo Valpreda ha dimostrato al di là di ogni dubbio l’uso politico reazionario che si fa della giustizia. E’ bastato poco per demolire le accuse contro gli anarchici costruite senza tener conto della verità”.

   L’avvocato Giambattista Lazagna ha detto che non si può parlare di divisione fra giustizia e potere: “Si tratta solo di una divisione delle parti. UNo degli arrestati detenuto assieme a me si è visto puntare la pistola da un magistrato che era venuto con i poliziotti ad arrestarlo. Allora che differenza c’è, perché dire che la magistraturaè una cosa a sè, indipendente dal potere?

   “Non si tratta più di rivendicare un orientamento democratico della magistratura, dell’esercito, della polizia. Si tratta invece di capire come esiste una precisa origine di classe di tali fenomeni, come ad una presenza internazionale dell’imperialismo vorrisponde un tipo di pot4re come il nostro.

   “Non possiamo dimenticare che funzione essenziale dello stato borghese è la repressione. La repressione – e questo è un concetto ancora difficile da spiegare – non è solo politica, ma è in tutti i campi. La mia esperienza carceraria mi ha fatto capire che non si può fare una distinzione fra repressione politica e repressione comune. Il carcere, di per sè stesso, è punto finale di qualsiasi tipo di repressione, non corrisponde più nemmono alla coscienza civile di qualsiasi cittadino. La stessa ideologia che porta all’uso del carcere, all’isolamento dalla vita civile di persone che magari hanno commesso piccoli reati, è un’ideologia che va combattuta”.

   IL dottor Luigi Saraceni, segretario della sezione romana di Magistratura Democratica, che ha svolto la sua relazione dopo alcuni interventi del numeroso pubblico presente, ha iniziato polemizzando con alcune affermazioni che erano state fatte da appartenenti al gruppo extra parlamentare Lotta Continua.

   “E’ una visione massimalista e fin troppo schematica dello scontro di classe, quella secondo cui è del tutto inutile operare all’interno del potere giudiziario per rendere democratica la magistratura in quanto questo potere è è destinato a svolgere sempre e soltanto un ruolo di repressione. Certamente, il potere giudiziario, essendo uno dei poteri fondamentali dello stato borghese, è destinato a svolgere un ruolo di affermazione e di puntellamento dell’interesse dle padrone che organizza lo stato borghese. Tuttavia, se ci limitiamo a osservare soltanto questo, diventa del tutto inutile qualunque tipo di battaglia, e anche questo convegno, e anche tutto quello che Lotta Continua va deenunciando sulle sue pagine: perché non vedo a quale conclusione può portareuna continua denuncia dello stato borghese se non si crede che la lotta può essere portata con successo anche su questo piano”.

   “Il problema è di vedere che cosa è oggi il potere per poter proporre delle allternative allo stato borghese. Il potere non è più annidato nel Palazzo d’Inverno, espugnando il quale avremmo risolto il problema. Il potere è anche un intrecciarsi di contraddizioni, anche e soprattutto per quello che la classe subalterna riescea imporre”.

   “La Costituzione, con la quale non si è fatta certo la rivoluzione, perché la rivoluzione non si fa con la carta, in quanto essa celebra ancora la sacrità del diritto di proprietà, contiene tuttavia delle affermazioni che sono una conquista della resistenza e della lotta di classe.

   “Non si capisce perché non dovremmo servirci di questi germi di potere alternativo che lo stato borghese contiene, rimandando tutto a dopo la rivoluzione. Bisogna avere una visione articolata, dialettica dello scontro di classe”.

   “Magistratura democratica ha fatto una precisa scelta di campo, che è una scelta di classe, a fianco degli sfruttati, delle classi subalterne, e svolge il suo ruolo con il movimento che è nel paese”.

   “Non si può ignorare del tutto ciò che avviene all’interno del potere, perché altrimenti il nemico di classe, che conosce la tecnica giuridica, avrà partita vinta. Questo si è visto anche in processi molto grossi, come quello contro Valpreda e nelle vicende dell’affare Lazagna”.

   “Nell’uno e nell’altro caso si sono costruite le accuse, adoperando tutti i ferri dela tecnica. Il destino del processo Valpreda (l’istruttoria è crollata miseramente al sesto giorno del dibattito), si è giocato su un fatto squisitamente tecnico, come quello della competenza territoriale. Ma la tecnica non è un fatto indifferente, essa è al servisio di una politica, e come tale vanno denunziati e combattuti anche nelle aule giudiziarie i tentativi di adoperarla a fini reazionari”.

  “Nel caso Lazagna i magistrati hanno fatto ricorso a uno strano ‘errore’ nel trascrivere il numerod ell’articolo del codice in base al quale veniva incriminato: un errore che però permetteva l’emissione del mandato di cattura”.
          LOTTA POLITICA E MAGISTRATURA

   “E’ quindi importante combattere la lotta politica anche sul piano di istituzioni come la magistratura, rifiutando il ruolo di settore ‘indipendente’ che le si vorrebbe dare, per conservarla strumento di potere”.

   Ha concluso il dibattito la relazione del magistrato Marco Ramat, segretario nazionale di Magistratura Democratica. “La nostra funzione non è solo quella di svolgere un ruolo diverso all’interno della magistratura, dando un diverso svolgimento ai processi che che ci sono affidati. Certo, se processi politici vengono affidati a magistrati democratici, potete essere certi che essi hanno uno svolgimento diverso da quelli chesi stanno svolgendo oggi”.

   “Ma noi di Magistratura Democratica siamo convinti che un processo rivoluzionario non ha possibilità di successo se non riesce ad affondare radici profonde nela società, e ad avere un consenso di massa. Per questo è importanteche si operi all’interno delle istituzioni, della scuola, come della magistratura, dell’esercito, della polizia, per proporre valori alternativi rispetto a quelli esistenti nella nostra società, in modo che domani, quando l’assetto strutturale sarà cambiato, non venga tradito dalla resipiscenza di una ideologia, e di una cultura non sopraffatte  tempestivamente da una maturazione che deve avvenire, infiltrandosi tenacemente in tutti i tessuti sociali, in tutte le strutture sociali, in tutti gli organi istituzionali, in ogni sede insomma, laddove si puo’ preparare in un modo o nell’altro il capovolgimento dele istituzioni”.

   “Bisogna operare perché presso il popolo si formi una coscienza alternativa, anche per quanto riguarda la valutazione del diritto. per questo riteniamo importante non ignorare questo campo di scontro costituito dalle strutture giudiziarie”.

 Giovanni Spampinato

Ma per il giudice il più “grave” rimane il “reato d’opinione”

Giustizia e potere: dibattito a Siracusa

Alla presenza di numeroso ed attento pubblico si è svolto ieri a Siracusa il convegno-dibattito “Giustizia e potere: dove va la magistratura”. Dopo il presidente del circolo “Elio Vittorini” ha preso la parola l’avv. Umberto Di Giovanni che ha illustrato le vicende giudiziarie degli ultimi anni nel Siracusano. Dal ’68 ad oggi, dall’incriminazione cioè dei braccianti di Avola ad oggi è stata una continua escalation di procedimenti e di misure che hanno mostrato in tutta evidenza il carattere repressivo assunto dalla magistratura aretusea. Grave appare l’attuale orientamento della magistratura che presenta sempre maggiore attenzione ai cosiddetti “reati di opinione”. Grave preoccupazione suscita la notizia secondo cui verranno contestati gravi reati ai lavoratori disoccupati colpiti da mandati di cattura per la occupazione del municipio avvenuta nel maggio scorso e le bombe contro l’ufficio di collocamento e la sede della CGIL di Siracusa.

Ha quindi svolto la sua relazione l’on. avv. Salvo Riela, membro della Commissione Giustizia della Camera, il quale ha ricordato che l’attuale ondata repressiva trae origine da un ordinamento giudiziario inadeguato che risale in gran parte al periodo fascista e che ci si guarda bene dal rivedere, perché fa comodo alla classe dominante, che ha interesse a conculcare la libertà dei cittadini per conservare il potere.

Ha preso poi la parola l’avvocato genovese Giovambattista Lazagna, arrestato per le vicende connesse alle Brigate rosse di cui si cominciò a parlare all’indomani della misteriosa esplosione di Segrate. Lazagna, come ha ricordato l’avv. Di Giovanni che lo ha presentato, è in libertà provvisoria anche grazie alla forte pressione esercitata dall’opinione pubblica.

A conclusione del dibattito, su cui sarà il caso di ampliare il discorso, hanno parlato i magistrati Luigi Saraceni e Marco Ramati.

CAT