Delitto Tumino: Il figlio del magistrato dice: “Non sono io l’assassino”

La conferenza stampa di Roberto Campria “indiziato” del delitto, per fugare le voci
che corrono insistenti sul suo conto: “Collaborerò con la giustizia per smascherare
il vero assassino” – I dubbi, le indagini

di Giovanni Spampinato

RAGUSA, 3 agosto 1972 – Per cinque mesi Roberto Campria è stato ritenuto un assassino. Il suo nome era saltato fuori fin dall’inizio delle indagini sullo sconcertante omicidio dell’ingegnere Angelo Tumino, il professionista ragusano freddato barbaramente da un individuo che rimane ancora oggi avvolto nel mistero. L’omicidio avvenne la sera del 25 febbraio, Il cadavere fu ritrovato l’indomani verso mezzogiorno in una sperduta trazzera in contrada Ciarberi.

Il martedì successivo il nostro giornale scriveva: “Sotto torchio il figlio di un magistrato”. Roberto Campria immediatamente ci querelava. Ma al processo, che si celebrò il 18 aprile presso il Tribunale di Palermo, non si presentò. L’Ora fu assolto ed il querelante condannato al pagamento delle spese. Intanto – erano già passati due mesi – le indagini, condotte dai CC per conto della Procura della Repubblica di Ragusa, non davano alcun esito: a Ragusa si diceva, più o meno apertamente, che si tentava di insabbiare il caso perché si voleva coprire proprio Roberto Campria, figlio del presidente del Tribunale.

L’Affare Tumino, che già di per sè, è il più grave fatto di sangue che si ricordi a Ragusa da alcune decine di anni a questa parte, assumeva delle tinte preoccupanti. Si parlava con insistenza di coperture di tipo mafioso, e si ricordava un colloquio dell’Antimafia col padre dottor Saverio, allora presidente del Tribunale di Sciacca (l?Antimafia esprimeva delle perplessità sulla personalità del magistrato). Il ragionamento che si faceva era questo: Roberto Campria ha ucciso l’ingegnere Tumino, la magistratura lo sospetta, ma non procede con la dovuta  decisione per riguardo del padre.
Conclusioni gravissime, e decisamente scoraggianti. Ma mentre molti, moltissimi, e tra questi anche persone  vicine alla famiglia Campria, erano pronte a parlarne “in privato”, nessuno osava dirlo apertamente.
L’Ora ha ritenuto non solo giusto, ma doveroso dire chiaramente queste cose, anche per provocare delle reazioni, perché fosse fugato ogni dubbio sulla magistratura, perché i cittadini tornassero ad avere fiducia nell’indipendenza di giudizio dei magistrati. abbiamo scritto sul caso Tumino il 28 aprile, il 29 maggio e il 7 luglio, sempre facendo il nome di Roberto Campria.
Ora la reazione c’é stata. Roberto Campria ha voluto parlare con i cronisti che si sono occupati del caso Tumino, con noi e con chi il suo nome non ha fatto.
“Voglio proteggere la mia vita privata – ha detto Campria – che è la cosa che ho più cara al mondo. Per farmi un nome ci sono voluti trent’anni: per distruggerlo è bastato un minuto. Prima dia desso la stampa aveva fatto il mio nome solo perché ero presidente del Circolo di tiro a volo”.
Sarà difficile togliere di testa alla gente che lui ha assassinato l’ing. Tumino. “Lo so – dice Campria -, ma ho pagato un prezzo troppo alto per una colpa che non ho. Sono stato colpito negli affetti più cari. Ora voglio dire basta”.
Ci parla brevemente di sé. Ha appena compiuto i trenta anni (è nato a Roma il 1° agosto 1942), ha il diploma di geometra, è iscritto all’Università in giurisprudenza; è impiegato da quattro anni presso  l’Amministrazione provinciale (laboratorio di igiene mentale), è celibe: avrebbe dovuto sposarsi a settembre con una ragazza con cui è stato fidanzato per oltre tre anni, ma il fidanzamento è stato rotto alcuni mesi fa. Frequentava da un anno l’ingegnere-antiquario Tumino perché, dovendo mettere su casa, pensava di arredarla con mobili antichi.
Roberto Campria spiega con calma e con precisione di particolari le circostanze che lo hanno portato nella scomoda posizione di persona non indiziata di reato ma additata dall’opinione pubblica come un assassino.
“Mi sono trovato come si trova il cittadino italiano che suo malgrado si trova ad avere a che fare con la giustizia”. Ma l’amara polemica con la magistratura, curiosa nel figlio di un magistrato, finisce qui. Roberto Campria ha un alibi per venerdì 25 febbraio: “Non posso essere io la persona che per tutto quel giorno fu vista in compagnia dell’ingegnere. La mattina, sono stato in ufficio; il pomeriggio, prima da un radiotecnico per chiedere informazioni sul funzionamento di un registratore che non adoperavo da un anno, poi alla scuola di servizio sociale che frequentavo con la mia fidanzata. La sera l’ho trascorsa in compagnia di amici. Se mi sarà chiesto dal magistrato (Campria pensa che sarà di nuovo chiamato, dato che nei giorni scorsi il processo è passato nella fse istruttoria, n.d.r.), si potrà facilmente controllare. Il giorno successivo al delitto, è vero, mi trovavo a casa dell’ingegnere quando i suoi parenti telefonarono e mi dissero che il mio amico aveva avuto un grave incidente.
“Io avevo  libero accesso a casa dell’ing. Tumino, ero una delle poche persone a cui il piccolo Marco, il figlio naturale dell’ingegnere, sapeva di potere aprire la porta. Appena appresa la notizia mi recai all’Ospedale Civile, pensavo si trattasse di un incidente automobilistico. Lì non seppero dirmi nulla. Telefonai all’ospedale di Ibla: niente. allora andai dove pensavo fosse Ciarberi, ma sbagliai strada. a questo punto mi recai dai carabinieri. Chiesi se sapevano dirmi dell’incidente occorso all’ing. Tumino. Mi fecero attendere a lungo. Poco dopo fui accompagnato presso un graduato che mi disse senza tanti complimenti che Tumino era stato ucciso. Rimasi scosso dalla notizia della morte dell’amico. Mi misi immediatamente a disposizione della magistratura per aiutarla a cercare i possibili moventi, i possibili autori del delitto. Io, fin dall’inizio sono stato un collaboratore volontario della giustizia. Mai un indiziato”.
Ma su Roberto Campria si è detto ben altro. Come spiega, gli abbiamo chiesto, il fatto che per mesi è rimasto zitto, non ha ritenuto necessario smentire quanto si diceva sul suo conto? Come mai non ha pensato che il suo silenzio fosse considerato una tacita conferma dei sospetti?
Campria dice che, dopo la querela al nostro giornale,  non aveva dato più importanza alle voci sul suo conto. Ma recentemente, di ritorno da un breve viaggio, si è accorto che il suo nome a Ragusa era sulla bocca di tutti. Gli arrivavano anche telefonate anonime di persone che lo chiamavano “assassino”!
Roberto Campria, che con ogni probabilità non ha nulla a che vedere con il delitto, torna all’ombra. Quanto si dovrà aspettare perché esca fuori il nome del vero assassino?
Intanto, con la stessa autorevolezza con cui era stata smentita, è stata confermata la notizia che gli atti del processo istruttorio sono stati trasferiti alla Procura generale di Catania.
A decidere il trasferimento sarebbe stata la Cassazione. Per quale motivo? Per  legittima suspicione?
Giovanni Spampinato

 

Ragusa. Per il delitto Tumino indagini a zero

RAGUSA, 7 luglio – Molte persone, una decina o forse più, hanno visto l’ing. Tumino in compagnia del suo assassino. Tutti descrivono il misterioso personaggio come un giovane di non più di trent’anni, col viso affilato, con gli occhiali, vestito di scuro.

Il giovane – sul fatto che sia l’assassino, o uno degli assassini, non dovrebbero esserci dubbi: altrimenti, per quale motivo dovrebbe nascondere la propria identità? – trascorse con Angelo Tumino tutta la giornata del 25 febbraio. La sera, tra le 19 e le 21, secondo l’autopsia, il professionista fu prima tramortito con un colpo di martello alla tempia destra, e poi freddato con un colpo di pistola calibro nove sparato a bruciapelo al centro della fronte. Poco dopo il delitto, l’auto dell’ingegnere fu abbandonata in una via periferica del capoluogo, con le chiavi attaccate al cruscotto e lo sportello appena accostato. Il cadavere fu trovato casualmente l’indomani pomeriggio da una donna che stava portando il pane al padre in campagna in una trazzera a pochi chilometri da Ragusa. Chi aveva scelto il posto, sapeva il fatto suo: se non si fosse trovata a passare la donna, il corpo sarebbe rimasto lì per giorni, forse per settimane.

Ma Angelo Tumino fu ucciso nella trazzera di contrada Ciarbèri dove fu trovato il cadavere? O vi fu portato già morto? I contadini dicono di avere sentito una macchina passare a grande velocità tra le 19 e le 20. Anzi, un uomo che procedeva a piedi, e la incrociò, per poco non fu travolto. Quando l’ignoto automobilista lo scorse, sepnse i fari, e procedette per un tratto alla cieca. Ma la sera, verso le 11, lo stesso rumore di un motore esasperato meravigliò gli abitanti del luogo.

Il cadavere fu lasciato la prima o la seconda volta? Il delitto fu compiuto sul posto? Come mai il corpo appariva rivestito e sistemato con cura? Poteva un uomo solo spostare il cadavere dell’ingegnere, che pesava più di cento chili?

Quando giunsero i carabinieri, l’identificazione fu fatta attraverso i documenti: il volto era sfigurato dal grosso foro al centro della fronte (il proiettile era fuoriuscito dalla nuca, e non è stato ritrovato). Un conoscente, un coltivatore diretto del posto, non voleva credere all’evidenza. Telefonò a casa dell’ingegnere, e gli rispose il figlioletto Marco, di 9 anni, che abitava solo col padre. Il bambino rispose che il padre la sera precedente non era rientrato: era la conferma. In casa, notò con meraviglia il “massaro”, col bambino c’erano altre persone.

Telefonò ai fratelli del povero professionista, dicendo che venisse qualcuno, perché era successa una disgrazia. La cognata di Tumino a sua volta telfonò al bambino. Le rispose una voce d’uomo. Meravigliata, la donna chiese: “Ma lei chi è?”. Era Roberto Campria, il figlio del presidente del tribunale, che non seppe giustificare in maniera plausibile la sua presenza. Sembra che stesse sistemando delle carte.

La famiglia di Angelo umino si chiede ancora come mai il giovane Campria, quando seppe dal bambino che l’ingegnere non era rientrato la sera precedente, e che mancava da casa da 24 ore (circostanza insolita, perchè il fatto di star solo col figlioletto lo obbligava a rientrare ad ogni costo) non di preoccupò di accertarsi se era successo qualcosa.

Da allora – e sono trascorsi quattro mesi – le indagini non sono approdate a nulla. Il Procuratore della Repubblica ha dichiarato che tutto l’incartamento è ancora nelle sue mani, e che è in corso un supplemento di indagini.

Dicevamo che molte persone hanno visto quel tragico giorno di quattro mesi fa l’ingegnere Tumino in compagnia del giovane che con ogni probabilità lo ha poi ucciso.

Oltre al benzinaro presso cui fecero rifornimento, poco dopo le 19, il quale afferma che, qualora vedesse l’individuo, lo riconoscerebbe senza ombra di dubbio (dopo il delitto fu messo a confronto con una sola persona), ci sono una vicina di casa e numerosi contadini.

La mattina, Tumino e il suo misterioso accompagnatore, che sedeva nel sedile posteriore della sua NSU Prinz (il sedile accanto al posto di guida era stato rimosso per ricavare un ampio planale di carico per il materiale di antiquariato, del cui commercio da qualche tempo l’ingegnere si interessava), e con cui dimostrava di essere in rapporti di fraterna amicizia, girarono a lungo per le campagne attorno al posto dove la sera sarebbe stato ucciso. Cercavano una casa in cui avrebbe dovuto trovarsi un vecchio mobile che Tumino aveva intenzione di rilevare. (Ma sembra che il mobile non esista; chi aveva inventato quella che con ogni probabilità era solo una trappola mortale?).

Chiesero informazioni a molti contadini. Quelli che hanno parlato – alcuni hanno avuto paura; una persona molto vicina alla famiglia dell’ucciso ha rivelato solo nei giorni scorsi di averlo visto anche lui – descrivono l’amico di Tumino come un giovane magro, vestito di scuro, con gli occhiali.

La stessa descrizione pare ne abbia fatta una vicina di casa che lo vide uscire nel primo pomeriggio. Il figlioletto gli chiese quando sarebbe rientrato; l’ingegnere lo rassicurò che sarebbe tornato la sera.

Le indagini, dicevamo, a quattro mesi dal delitto sono al punto di partenza. Le ipotesi che si erano fatte all’inizio sono cadute una dopo l’altra. Il movente, si dice, può esser ricercato in motivi d’interesse, o anche di gelosia.

La gente però a Ragusa col passare del tempo, invece di disinteressarsi della vicenda, manifesta una preoccupazione sempre maggiore. Sembra impossibile che la macchina della giustizia, altre volte così efficiente, si sia inceppata in un caso che non dovrebbe presentare troppi punti oscuri. E’ possibile ci si chiede, che un assassino continui a circolare in libertà? E’ possibile che un delitto così efferato rimanga impunito?

Ad accrescere gli interrogativi è poi la delicata situazione in cui è venuto a trovarsi il giovane figlio del presidente del tribunale, che dagli inquirenti fin dall’inizio fu interrogato per chiarire molte circostanze poco comprensibili (perché si trovava a casa dell’ucciso? perché rovistava l’appartamento cercando qualcosa? perché chiese ai parenti di parlare solo col bambino, al quale disse anche: “Se ti chiedono di papà, devi dire che è stato rapito”?; perché si muoveva come chi cerca un alibi, quando nessuno sospettava di lui?

I due quotidiani isolani del mattino hanno preferito non fare il nome di Roberto Campria. Ma la gente sa a Ragusa che nessuna smentita ufficiale è venuta a quanto abbiamo scritto fin dall’inizio sul suo conto: che cioè era stato messo sotto torchio dagli inquirenti, e che su di lui pesavano gravi sospetti.

Tutto ciò ha alimentato nell’opinione pubblica una fin troppo legittima ansia di conoscere la verità, ansia che ogni giorno di più appare venata di scetticismo.

Molti dicono che presto verrà messo tutto a tacere, e definitivamente. Tutto ciò, con non molto giovamento per la fiducia dei cittadini nell’amministrazione della giustizia.

A fugare preoccupazioni e dubbi non contribuiscono certo le notizie che si hanno sulla personalità dello stesso presidente del tribunale. oprattutto negli ambienti giudiziari e forensi si ricorda l’impressione suscitata dalla lettura di una bozza di relazione della Commissione parlamentare antimafia, pubblicata il 23 maggio dello scorso anno in un inserto del settimanale “L’Espresso”.

I commissari, che sull’amministrazione della giustizia avevano parlato con numerosi magistrati della Sicilia occidentale, occupandosi del tribunale di Sciacca e del suo presidente di allora, così si esprimevano:

“Il presidente del tribunale, dott. Saverio Campria, oggi trasferito alla più importante sede di Ragusa, non ha manifestato molta energia né interessamento per i problemi oggetti della conversazione con lui avuta dai commissari, mostrando non solo di non conoscere la situazione del suo circondario, ma di ignorare quanto in realtà avveniva intorno a lui, con non molto giovamento in verità per il prestigio e l’autorità della magistratura.

Rapporti di particolare freddezza sono stati poi rilevati tra il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica, dott. Taddeo Purpura, presumibilmente per il carattere e il temperamento accessivamente chiuso del primo.

Sembra doveroso segnalare al Consiglio superiore della Magistratura l’opportunità che nel conferimento di uffici direttivi in Sicilia, la cui efficienza costituisce il presupposto e la condizione di una positiva azione contro la mafia, si tenga il massimo conto soprattutto delle abitudini e della personalità dei magistrati da assegnarvi.

La Commissione parlamentare di inchiesta non può ignorare o fare a meno di rappresentare simili inconvenienti, ai quali può anche risalire in determinate circostanze quella mancanza di interessamento, di zelo, di energia, che ha tanto contribuito in passato alle affermazioni di situazioni e di ambienti mafiosi”.

Data questa situazione, per fugare ogni dubbio e per ridare ai cittadini fiducia nella legge e nell’amministrazione della giustizia, non sarebbe forse opportuno trasferire le indagini ad un magistrato esterno al tribunale di Ragusa, possibilmente non siciliano?

I problemi della campagna al convegno dell’Alleanza

RAGUSA, 12 giu – Nel Salone della Camera di Commercio di Ragusa si è tenuto ieri il convegno regionale dell’Alleanza Coltivatori Siciliani sulla applicazione delle tabelle sull’equo canone in base alla nuova legge sull’affitto.

Il delicato momento politico che il Paese sta attraversando vede di nuovo i problemi dell’agricoltura al centro dell’attenzione.

La legge di riforma dell’affitto è il bersaglio di una feroce e sottile campagna (il 21 giugno la Corte Costituzionale deciderà sulla eccezione di incostituzionalità sollevata per l’art. 1 della legge, che prevede che i canoni siano determinati in base al reddito dominicale dell’azienda e pagati esclusivamente in denaro). Intanto è in corso la contrattazione per la determinazione e l’applicazione delle tabelle in base a cui pagare il canone; è aperta la lotta per trasformare i contratti di affitto, quelli di colonia e mezzadria; si lotta anche per le migliorie sui fondi, per i finanziamenti e i contributi a coldiretti, per la concessione in affitto di terre incolte di proprietà di agrari assenteisti.

Questi obiettivi sono stati ampiamente illustrati nella relazione tenuta da Salvatore Amico, vice presidente regionale dell’Alleanza.

Introducendo i lavori, l’onorevole Girolamo Scaturro aveva rilevato come ad oltre un mese dalle elezioni l’Italia non ha ancora un governo che goda della fiducia del Parlamento. Occorre che al più presto si dia l’avvio alle riforme che sono nelle aspirazioni dei ceti popolari.

I contadini, come gli operai, ha aggiunto Scaturro, ricordando le provocatorie dichiarazioni di Almirante, hanno forze sufficienti per respingere qualsiasi violenza fascista. Amico, dopo aver riconfermato le scelte di fondo dell’Alleanza, ha posto l’esigenza di una svolta radicale nella politica economica del nostro paese, alternativa finora portata avanti a tutto favore dei monopoli.

I punti programmatici fondamentali sono il passaggio della proprietà della terra a chi la lavora, un programma di irrigazione, costruzione di impianti di conservazione, strade, ecc., la riduzione dei prezzi dei prodotti industriali necessari all’agricoltura.

Rievocate le lotte che i contadini hanno sostenuto nel dopoguerra a Ragusa e in tutto il Mezzogiorno, Amico ha rilevato gli aspetti nuovi che presenta la legge sull’affitto. Oltre un miliardo e mezzo di lire sono state sottratte alla rendita parassitaria. È finita la soggezione feudale che si manifestava sino a pochi mesi fa con le regalie in natura.

LItalia è l’ultimo dei paesi del MEC a trasformare la legislazione sull’affitto. La legge sull’affitto è arrivata tardi. Adesso occorre estenderla alle aziende in cui ci sono contratti di colonia a mezzadria. Amico ha quindi ricordato le scadenze da noi accennate in apertura.

Nel corso del dibattito che è seguito, hanno preso la parola Mario Strano, presidente dell’Alleanza di Siracusa, Giuseppe Giannone di Ragusa, Pietro Quacci di Enna, l’avv. Cosimo Daura, di Palemo, Enrico Piccione di Trapani, Giuseppe Ragusa di Catania.

Un significativo saluto è stato portato dal giovane coltivatore diretto Vincenzo Scrofani, presidente dei giovani della Coldiretti, che ha riaffermato l’intenzione dei coltivatori diretti di lottare uniti.

A conclusione dei lavori, il sen. Angelo Compagnoni, vicepresidente nazionale dell’Alleanza, ha ricordato che la legge sull’affitto è stata frutto di una larga mobilitazione di massa.

Il problema della costituzionalità della legge è politico, e non giuridico. E la decisione della Corte Costituzionale del 21 prossimo sarà politica, e non giuridica.

CAT

Per le belle di Ragusa come è difficile farsi il ragazzo.

RAGUSA, 8 giu – “In una grande città è diverso: cambi quartiere, e nessuno ti conosce. Ognuno si fa i fatti suoi, c’è meno controllo sociale, e i rapporti fra giovani dei due sessi sono più naturali. Ma in provincia si è sempre condizionati dall’ambiente ristretto, dal fatto che più o meno ci si conosce tutti, e si deve dar conto alla gente”.

Un discorso che mi è stato ripetuto in piccoli paesi come Santa Croce o Ispica, e in grossi centri, come il capoluogo o Modica: il controllo sociale condiziona, dove più dove meno, i rapporti fra i due sessi, e genera problemi.

L’amore viene condizionato anch’esso, a livelli di sentimento?

A sentire qualcuno, sì, e fortemente, tanto che si sfiora il dramma. Il condizionamento non significa solo divieto per la ragazza di frequentare il giovane che ama (divieto che va da una sorta di segregazione più o meno discreta al martellamento psicologico): significa anche, e ciò è avvertito da alcuni come una insopportabile eredità di altri tempi, tabù.

Molte delle ragazze che ho intervistato mi hanno raccontato tristi storie molto simili fra loro: la madre che non le fa uscire, i sotterfugi, le piccole bugie, l’amore segreto, i rimproveri, la segregazione, il raggiro, il fidanzamento ufficiale come scappatoia, e il matrimonio come fuga dalla famiglia, e poi le delusioni, il fallimento.

Ragazze soprattutto del popolo, che non hanno potuto frequentare le scuole. “Le studentesse sono privilegiate, perché almeno la scusa per uscire ce l’hanno: la mattina per andare a scuola, il pomeriggio per andare a fare i compiti con una compagna. E se le vedono con un ragazzo, possono sempre dire che è un compagno di scuola…”.

Oltre alle studentesse, godono di una certa libertà molte commesse, le poche operaie, le impiegate. Per le casalinghe, che sono la maggioranza, il problema resta a livello elementare, e il più delle volte viene aggirato, appunto attraverso il fidanzamento (ma si esce ancora con l’accompagnamento dei parenti, la cosiddetta ” coda”, si debba andare al cinema o a fare due passi), e il matrimonio.

In queste condizioni chiedere : “Cosa ne pensi dell’amore?” diventa quasi un non senso. Risposte che sembrano tirate fuori dai fotoromanzi (“Penso che l’amore sia un donarsi completo alla persona amata, soprattutto un’unione di anime”) o, più spesso, silenzi imbarazzanti (”Non so, non ci ho mai pensato”).

Spingersi oltre (“se amassi veramente un uomo, arriveresti ad avere rapporti completi con lui?”) diventa azzardato. Una ragazza si è scandalizzata, ha fatto capire che secondo lei erano ” porcherie” e che c’è troppa libertà nei costumi (la ragazza ha 25 anni, e dichiara di non essere mai stata fidanzata). Un’altra ragazza, 22 anni sbotta candidamente in un “E chi ci ha mai provato?”, e scoppia a ridere, seguita da tutte le altre.

Poi cominciano ad ammettere che, sì, se fosse il grande amore… Ma subito, quella che ha confessato di “non averci provato”, precisa che forse farebbe l’amore, ma non andrebbe a viverci insieme. La compagna di 25 anni si mostra più scandalizzata che mai.

La conversazione si svolge in un’aula di un corso di addestramento professionale. Il direttore, un giovane di 23 anni, ha voluto prima conoscere la natura dell’indagine, la traccia che si sarebbe seguita, “per evitare grane”. Scopro che alcune ragazze qualche mese fa avevano chiesto che si parlasse di educazione sessuale in classe.

Non se n’era fatto niente, e la polemica è ancora viva. Le ragazze presenti sono quasi tutte casalinghe. Alcune ammettono di aver voluto fare il corso per avere la scusa per uscire, quel minimo di libertà che finora avevano avuto negato. Qualcuna ha il ragazzo, di nascosto dai genitori (“se lo sapessero, non mi farebbero più uscire”). Sono quasi tutte sui vent’anni.

L’insegnante, anche essa giovane, interviene dicendo che c’è troppa ignoranza sull’amore, sul sesso, e che questo è male. “Io, se potessi, mi sposerei subito, per liberarmi dai condizionamenti della famiglia. Molte si sposano solo per questo motivo, ed è uno sbaglio, perché i matrimoni fatti così vanno a monte”.

La discussione si trascina per due ore. A porre delle domande più “spinte” mi aiuta una maestrina ventenne, che avevo intervistata in precedenza, e che aveva detto che lei ha una concezione molto aperta dell’amore, che soprattutto deve essere spontaneità.

Frequenta anche lei il corso, e chiede alle compagne: “Ma voi cosa ne pensate della verginità”. Poche risposte, imbarazzatissime.

Qualcuna dice che è un “valore” da difendere. Altre, prima timidamente, poi con più decisione, affermano che sono gli uomini a tenere alla verginità: “Dicono che a loro non interessa, che basta che ci sia l’amore; ma alle strette la moglie la vogliono vergine, e se hanno rapporti completi con una ragazza poi la disprezzano”.

La ragazza di 25 anni interviene continuamente, dice che ci deve essere una misura, ripete che c’è troppa libertà, e che lei confida tutto alla madre. “Si vede che non hai cose veramente importanti da nascondere”, ribattono le altre.

Risposte diverse – ed era scontato – da parte di un gruppo di studenti modicani, impegnati politicamente nel Movimento studentesco.

Risposte di ragazzi dai 15 ai 23 anni che hanno le idee abbastanza chiare sui rapporti fra i due sessi, idee molto progressiste, di rottura con l’ambiente. Ma alcune di. queste risposte mi hanno lasciato perplesso, perché sembrano troppo mediate culturalmente e non “vissute”.

Gli studenti hanno una maggiore libertà degli altri giovani, e i rapporti fra ragazze e giovanotti sono meno drammatici che in altri ambienti. Ma all’interno di quello che può definirsi il “ceto” studentesco esistono varie stratificazioni, che talvolta passano attraverso vere e proprie fratture. E sono stratificazioni sociali, soprattutto.

La ragazza di estrazione popolare che studia vede praticamente assai ridotta, rispetto alle compagne di origine borghese, la sua libertà, e quindi la possibilità di “farsi il ragazzo”.

Un liceale, Alberto, riferisce la considerazione sconsolata che faceva un compagno passeggiando per il corso: “Sapeste com’è difficile di questi tempi trovarsi una ragazza!”. “Come se si trattasse di un oggetto di consumo”, commenta Alberto.

Tutti affermano che la colpa è del provincialismo, dell’ambiente troppo ristretto. Michele, anch’egli frequenta la seconda liceo classico, parla di fidanzamenti “frutto di un equivoco: si ha bisogno di una persona dell’altro sesso a livello di esigenza psicologica, non per un vero bisogno di affetto. C’è poca maturità nella scelta”.

I rapporti non sono sempre sereni, anzi sono spesso caratterizzati da una nevrosi di fondo: anche qui è colpa dell’ambiente, che porta facilmente a far scambiare quella che potrebbe essere una normale amicizia per amore, per il solo fatto che i due partners sono di sesso differente.

Michele afferma che al: nord c’è più libertà e che da noi c’è troppo classismo. Nenè, universitario, sostiene che “la repressione è caratteristica di questa società che impedisce la piena espressione dell’individuo a cominciare dal rapporto erotico, che di per sé è quello che dovrebbe esprimere più completamente la creatività, la fantasia”.

Nenè racconta anche la sua esperienza personale. La sua famiglia è benestante, una ” famiglia-bene” e non approva la sua relazione con una ragazza che “non è alla sua altezza”, essendo figlia di lavoratori. Questo gli ha creato seri problemi, tanto da fargli pensare alla eventualità di andarsene da casa.

Ma il discorso più. interessante, perché è quello che devia maggiormente dal tema dell’inchiesta, è quello che fa Enza, 2° liceo, che dice che non si può parlare dell’amore a Modica, in provincia, come di un fatto isolato o isolabile: la repressione sessuale esiste al sud come esiste al nord, e non dipende solo dalle condizioni sociali: “I tabù sono voluti da una classe per meglio esercitare il suo dominio. Non è un caso che Freud abbia operato nella Mitteleuropa. Al sud il problema è più “interiorizzato”, ma è uguale a quello di tutta la civiltà occidentale”.

La tesi, per quanto formalmente ineccepibile, non mi convince e discutiamo a lungo: la cosiddetta civiltà occidentale si è sviluppata sulla repressione e la sublimazione dell’Eros, e oltre che da Freud il fenomeno è stato analizzato da Marcus, da Fromm. Ma sembra quanto meno azzardato dire che la compressione sessuale si manifesti allo stesso modo a Modica e a Stoccolma.

Gli altri ragazzi raccontano i loro problemi personali, e quelli ben più gravi di altri giovani: “Nelle campagne si arriva al matrimonio senza conoscere il fidanzato e i matrimoni sono ancora combinati dai “sensali”.

Ma in certi ambienti la situazione odierna non si può nemmeno paragonare a quella di soli 10 anni fa. “Le macchine – sostengono gli studenti di Modica; ed è opinione che hanno condiviso molti altri – hanno portato una piccola rivoluzione. Con l’automobile è più facile appartarsi, sottrarsi agli occhi indiscreti”.

La “gente” sa, ma comincia ad abituarsi. Molti genitori si adeguano, spesso fanno finta di non sapere, qualche volta accettano la situazione. Pochi condividono. L’importante comunque è che le cose si facciano in un certo modo, che insomma “la gente non parli”.

Quanti arrivano ad avere rapporti completi, fanno veramente all’amore? Difficile improvvisare statistiche. Stando però a quello che si vede e si sente in giro, parecchie coppie. Molte ragazze, anche teenagers, cominciano a far uso della pillola, anche se una sorta di pudore o il timore di effetti spiacevoli trattiene molte, che pure vorrebbero usarla.

Ma l’impressione è che più spesso ci si limiti al petting, con tutto ciò che questo comporta. Non è solo la paura di restare (o di mettere) incinta la ragazza ad impedire l’amplesso: è anche, e a volte soprattutto, il tabù, sedimentato anche in molte delle ragazze che sono considerate emancipate, e che non riescono a superarlo.

Un universitario, all’inizio dell’inchiesta, mi contestò lo stesso tema. “L’amore in provincia? Non esiste, non pu6 esistere, è i m possibile.

E non perché non ci sia la possibilità di trovare una ragazza a cui si vuole bene: no, questo anzi non è un problema. Il problema nasce proprio quando si ha la ragazza. Ma lasciamo perdere” .

Alla fine cede, e mi racconta la sua storia. Con la sua ragazza sono insieme da due anni: “Prima immaginavo che sarebbe stato tutto meraviglioso, spontaneo. Invece, in tutto questo tempo è come se non fossimo mai stati soli. Anche quando ci appartiamo, e le occasioni non mancano, lei pensa ai genitori, a cosa ne direbbe la gente, e si irrigidisce, e come se fossi solo. Dice che non può fare all’amore, perché dopo non si sentirebbe più la stessa, non avrebbe il coraggio di guardare in faccia i suoi genitori”.

La ragazza è anch’essa universitaria. Il giovane finisce la sua confessione abbassando la testa: “Credo di essere diventato impotente”.

L’ho reincontrato casualmente pochi giorni fa. Era allegro: “Tutto risolto. – mi apostrofa – Sai, è come cambiata, ora non ha più problemi, è come se fosse cominciato tutto ora”.

Ma dopo poche ore, in un paesino dell’interno, torno a chiedermi: “Per quanta gente la situazione è cambiata? E per quanti il tempo invece si è fermato?”.

Una bottegaia, inviperita, sta arringando una piccola folla di massaie: “Vi sembra giusto, vi se m bra giusto?” Si rivolge pure a me: “Le sembra giusto?”. Si parla del “velo”: la bottegaia sta sposando la figlia, una ragazza a posto, la conoscete tutti, rispettosa e ubbidiente”, e la figlia naturalmente ha diritto al velo, perché in quattro anni di fidanzamento non è mai uscita da sola col fidanzato (“un bravo giovane, che quando ve deva che mia figlia era sola in negozio non entrava, e andava a farsi due passi”).

Ma che cosa vale che la figlia possa andare all’altare col velo, come è giusto, se ormai tutte, anche le “svergognate” che tutti sanno che sono uscite in macchina da sole col fidanzato (“e magari ne hanno cambiati tanti, e chissà quali porcherie hanno combinato”) si sposano in chiesa, “col velo!”.

Giovanni Spampinato

Il velo, il segno visibile della verginità, non ha più valore: che vale, dice la bottegaia, se ormai è inflazionato, se non ci si fa caso?

E anche in questo sembra che la moneta cattiva scacci la buona.

Legittima suspicione per l’istruttoria del delitto Tumino?

RAGUSA, 29 mag – Sarà trasferita per legittima suspicione ad un magistrato non siciliano l’istruttoria sull’assassinio dell’ingegnere ragusano Angelo Tumino, freddato da un assassino ancora ignoto la sera del 25 febbraio con un colpo di pistola sparato a bruciapelo alla fronte?

Nessuna notizia né“ufficiosa” né tanto meno ufficiale è venuta in questo senso dalla Procura della Repubblica di Ragusa, a cui i Carabinieri, che sotto le sue direttive hanno condotto le indagini, hanno rimesso, a due mesi di distanza dall’omicidio, il voluminoso dossier contenente i risultati di decine di interrogatori e dei vani sopralluoghi in contrada Ciarbèri, a pochi chilometri da Ragusa, dove il corpo senza vita del noto professionista fu rinvenuto il giorno dopo. Anzi, sembra che l’orientamento della Magistratura sia molto diverso. Si ha l’impressione che si proceda verso l’archiviazione dell’intera pratica.

La domanda però se la pone l’opinione pubblica, ancora scossa, a tre mesi dalla tragedia, dall’efferatezza del crimine, e perplessa di fronte al prolungarsi infruttuoso delle indagini, che non hanno portato né ad un fermo né tanto meno all’arresto dell’assassino. La gente a Ragusa si chiede se il provvedimento non sarebbe quanto meno opportuno, per fugare i dubbi residui che ha suscitato la posizione in cui si è venuto a trovare Roberto Campria, il figlio del Presidente del Tribunale di Ragusa a lungo e ripetutamente interrogato dal magistrato inquirente subito dopo il delitto.

Il giovane Campria era molto amico dell’ingegnere ucciso. Al magistrato doveva chiarire una serie di strane circostanze che facevano nascere sospetti sul suo conto. Pare tra l’altro che Roberto Campria fosse l’unica persona che sapeva con notevole anticipo che Tumino avrebbe dovuto recarsi in quella località di campagna dove fu trovato cadavere (doveva prelevare un vecchio mobile l’ingegnere si occupava da qualche tempo di antiquariato); Campria doveva anche spiegare per quale motivo si trovasse, dopo il rinvenimento del corpo, a casa dell’ucciso in compagnia del figlioletto dell’ucciso (aveva le chiavi di casa).

Il corso che hanno preso fin dall’inizio le indagini, invece di fugare i dubbi dell’opinione pubblica, li hanno rafforzati. Si è avuta l’impressione che si seguisse una sola pista, quella dell’antiquariato, trascurando le altre (molti parlano di una questione di donne, una sorta di regolamento di conti per uno “sgarbo” mal digerito).

Sembra strano, ad esempio, che il benzinaio presso cui l’ingegnere Tumino aveva fatto rifornimento, poco prima di essere ucciso, sia stato messo a confronto con una sola persona, per identificare l’uomo che sedeva nel sedile posteriore della NSU Prinz del professionista (nella vettura mancava il sedile anteriore destro, che Tumino aveva tolto).

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Vittoria: a giudizio il macellaio arrestato

VITTORIA, 28 set – Si celebra oggi presso la Pretura di Vittoria il processo per direttissima contro Salvatore Barone, il macellaio 41enne arrestato nei giorni scorsi sotto l’imputazione di frode in commercio. Il Barone, che ha la sua macelleria in piazza Daniele Manin, è incorso nei rigori della legge per aver posto in vendita carne di vitellone sul cui prezzo in provincia vige da alcuni mesi il calmiere, a 2.400 lire anziché a 2.200 lire.

Sono stati i VV.UU. della squadra annonaria del Comune di Vittoria a notare che Salvatore Barone aveva esposto il cartellino col prezzo alterato. Da qui la denuncia.

La squadra annonaria di Vittoria nelle ultime settimane, al fine di combattere il carovita, ha intensificato i controlli sui prezzi e sulle qualità della merce nel settore della carne e in quello dell’ortofrutta: tra l’altro numerosi “posteggianti” del mercato ortofrutticolo sono stati recentemente contravvenzionati e denunciati all’A.G., e parecchi quintali di frutta avariata sono stati sequestrati e distrutti.

La notizia dell’arresto del macellaio ha provocato vivaci commenti fra la categoria che sostiene di non poter vendere a prezzi di calmiere senza rimetterci. Nei giorni scorsi Salvatore Cutuli, presidente provinciale dell’Associazione macellai, diceva che è stato calcolato che considerando le spese di macellazione, trasporto, ecc., la carne che i macellai acquistano a 950 lire peso morto (nelle ultime settimane ci sono stati pesanti rincari) dovrebbe essere rivenduta, per consentire un giusto utile, almeno a 3.000 lire. Le argomentazioni della categoria sono in parte accettabili, in parte discutibili. Quello che è certo – e non se lo nascondono nemmeno gli amministratori di Vittoria che sono intervenuti nel settore importando carne direttamente dalle cooperative emiliane, e ponendola in vendita attraverso gli spacci comunali e alcuni macellai che hanno aderito all’iniziativa – è che le cause del rincaro stanno molto a monte, per la scarsa produzione di carne, per l’oligopolio dell’importazione (meno di venti importatori in tutta Italia determinano i prezzi che vogliono), nella scarsa ed inadeguata attrezzatura dei mattatoi che comporta costi di macellazione spaventosamente alti.

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Ragusa: Falsi i convegni “eversivi” scoperti dai Carabinieri

RAGUSA, 16 mag – “Scriva pure che è falso, completamente falso. Se vuole, glielo metto per iscritto, che è falso. Tutto questo finirà in mano al magistrato”.

Il maresciallo Scala, che comanda la stazione dei carabinieri di Sampieri e Cava d’Aliga è indignato e visibilmente agitato. È appena arrivato nella casermetta di Sampieri, dove il telefono squilla in continuazione, chiamato da un milite.

Poco prima un carabiniere scelto che ci aveva aperto s’era meravigliato nel vedere cronisti: “Che cosa è successo?”.

Gli mostriamo i quotidiani del mattino: “Misteriosi convegni nella villa “ospitale,”; “Sporcavano i muri con scritte politiche”; “indagano i carabinieri di Cava d’Aliga”. ll carabiniere sorride incredulo, scuote la testa, sembra interdetto: “guardi, non c’è niente, assolutamente niente”.

Il maresciallo mi chiede chi può avere interesse a diffondere notizie allarmanti. È la stessa domanda che gli ho rivolto io poco prima: chi può avere interesse a riferire che a Cava d’Aliga si è riunito per parecchi giorni di seguito uno strano gruppetto di giovani-bene, ospitati clandestinamente nel villino di un commerciante di Ragusa dalla figlia studentessa universitaria e definiti semplicemente anarcoidi?

La notizia era strana e contraddittoria: non si capiva perché i carabinieri avrebbero dovuto fare irruzione nel villino; non si spiegava come un anarchico fosse venuto dal nord per far… campagna elettorale! Non era chiaro, anzi risultava equivoco e provocatorio, il collegamento che veniva fatto tra il presunto club eversivo balneare con l’abbattimento del cippo ai Caduti della Resistenza a Comiso, avvenuto in aprile e con lo scoppio a Pasqua di una bottiglia Molotov davanti la porta della sede della CISNAL di Ragusa: due azioni di chiara marca squadristica di cui sono noti i responsabili neofascisti.

A Cava d’Aliga trovammo sì un buon numero di scritte sui muri: ma erano scritte sulla cui provenienza non potevano esserci dubbi: slogan del PCI, con tanto di falce e martello, e stella.

Ma le sorprese erano maggiori a Sampieri, dove ha sede la stazione dei carabinieri. Il maresciallo Scala non dava il tempo di interromperlo: “Allora, in che epoca viviamo? Un cittadino non è libero di far ciò che vuole, di divertirsi? Ben inteso purché non dia fastidio a nessuno. Ma mi dica lei se si può pretendere che a tanti pacifici cittadini, a tanti giovani che vengono per divertirsi, per fare il bagno, si può chiedere questo e quello? Sono finiti per fortuna certi tempi, ma a qualcuno questo forse dispiace”.

Siamo perplessi. Come è potuta venire fuori la notizia, che indubbiamente rimbalzerà, e a chi non può controllare di persona sembrerà che sia stato scoperto un pericolosissimo covo di cospiratori pronti a tutto, un covo in cui, si faceva capire tra le righe, orge e droga erano di casa?

Lo chiedo a lei – continua il maresciallo – lo chiedo a lei: a chi può interessare diffondere notizie così allarmistiche? La gente legge, e pensa chissà che cosa”.

Ma non c’è stata nessuna perquisizione?

Ma che perquisizione! Lo smentisca, dica che non è vero. Abbiamo visto un giovane che faceva il bagno sulla spiaggia di Cava d’Aliga. Già, era una faccia sconosciuta e gli abbiamo chiesto i documenti. Ha detto di averli lasciati nel villino, dove era ospite. Siamo andati lì, c’erano dei ragazzi e delle ragazze, abbiamo accertato l’identità del giovane e ce ne siamo andati”.

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Delitto Tumino: molte voci tendono a sviare le indagini

RAGUSA, 28 apr – Sull’inquietante assassinio dell’ing. Angelo Tumino i carabinieri di Ragusa, a due mesi dal tragico fatto, hanno presentato il primo rapporto al Procuratore della Repubblica. Si sa soltanto che sono state interrogate oltre 50 persone tra amici, parenti e conoscenti della vittima. Si sa che le indagini sono state laboriose e irte di difficoltà.

E a tutt’oggi, almeno ufficialmente, l’assassino non ha un volto. Non si conosce il motivo per cui il noto professionista è stato eliminato, né si conoscono le esatte modalità del crimine.

È stato, l’omicidio Tumino, una esecuzione in piena regola: freddato con un colpo di pistola calibro nove al centro della fronte, il suo corpo è stato abbandonato in una impervia strada di campagna a dieci chilometri da Ragusa. Il cadavere fu trovato l’indomani da alcuni contadini: non c’era l’auto, non c’era l’arma del delitto, non c’era il bossolo.

Il proiettile era fuoruscito dalla nuca, e non fu ritrovato, nonostante le vaste battute effettuate tutto intorno il luogo del ritrovamento, anche con alcuni cani poliziotto. L’ing. Tumino, ex playboy, già esponente del MSI, già costruttore edile, da alcuni anni si occupava quasi esclusivamente di antiquariato.

Aveva diversi magazzini di oggetti antichi, ed era noto per la spregiudicatezza con cui conduceva gli affari. La sua vita privata era stata piuttosto movimentata.

Una cosa è certa: poche persone, forse una sola, oltre ai parenti del morto, sapevano che sarebbe dovuto recarsi in quei giorni in quella località di campagna dove è stato ritrovato il suo corpo, per rilevare un mobile antico.

Una coincidenza il fatto che il corpo sia stato ritrovato proprio lì? Le indagini, come abbiamo detto, sono state lunghe. Tra le persone interrogate con maggiore insistenza fin dall’inizio c’era il figlio di un magistrato di Ragusa, il giovane Roberto Campria, che doveva tra l’altro spiegare come mai, subito dopo il ritrovamento del cadavere del Tumino, si trovasse a casa dell’ucciso, in compagnia del figlio dell’ingegnere. Tumino e Campria erano molto amici, si frequentavano assiduamente, pare per rapporti d’affari.

Campria ha tra l’altro querelato il nostro giornale per aver scritto che era “sotto torchio il figlio di un magistrato”. “L’Ora” è stato assolto per aver esercitato il suo diritto di cronaca, e il giovane Campria condannato al pagamento delle spese.

Ma – ed è questo l’interrogativo più inquietante – perché fu ucciso l’ing. Tumino? Non certo per rapina. Chi lo ha ucciso doveva conoscerlo bene, doveva essere da lui considerato un amico. Difficilmente, dicono coloro che lo conoscevano, Tumino sarebbe ingenuamente caduto in una trappola tesa da sconosciuti, si sarebbe difeso e non era uomo da farsi ridurre facilmente in condizioni di impotenza.

Che relazione esiste tra il delitto e la voce secondo cui, una settimana prima di esso, uno sconosciuto avrebbe commissionato ad alcuni giovani un furto nel deposito di materiale di antiquariato di Ibla di proprietà di Angelo Tumino? Era stato pattuito un compenso di 300 mila lire.

Ma il furto non ebbe luogo perché la piccola banda si sarebbe tirata indietro all’ultimo momento temendo eventuali conseguenze dal fatto. L’illazione alla fine è troppo semplice: lo sconosciuto committente avrebbe tentato per altra via di impadronirsi di ciò che interessava (un “pezzo” di gran pregio?), sarebbe giunto allo scontro aperto con Tumino e lo avrebbe ucciso.

Ma i mancati autori del “colpo” sono stati interrogati, le loro case perquisite e a loro carico non sarebbe emerso niente. Né sarebbe venuto fuori il nome del misterioso mandante.

Chi ci ha riferito questa circostanza ci ha anche detto che questo presunto teppista gli avrebbe fatto la rivelazione e poi, nel tentativo di sviare da se stesso i suoi sospetti, gli avrebbe detto tra l’altro che “l’ingegnere era stato ucciso con la sua stessa pistola”. Infine lo avrebbe minacciato e aggredito. Sul fatto indagano i carabinieri, che si mostrano scettici. Una voce provocatoria, fatta apposta per sviare le indagini?

Un altro fatto strano che dovrebbe avere a che fare col caso Tumino riguarda una strana donna che chiese a Modica nel periodo di Pasqua un passaggio a una persona che non la conosceva e cominciò a chiedere cosa succedeva se uno uccideva un uomo, e poi diceva che era stato perché questi cercava di violentarla. Aggiungeva che lei “avrebbe sparato alla fronte”.

Infine è questo il particolare inquietante – chiedeva se la sua posizione sarebbe stata meno grave se avesse detto che “la pistola usata apparteneva al morto”. Anche qui, sarebbe facile dedurre che il piano criminoso sarebbe stato eseguito da più persone, che la donna sarebbe servita da esca, e che, nella ipotesi che si fosse scoperto chi era stato, si era preparata la versione dell’omicidio per legittima difesa.

Le due voci vengono dalla stessa fonte, su questo non dovrebbero esserci dubbi. Ma questa fonte è quella degli assassini (o dei complici), oppure di chi cerca di sviare le indagini, facendo battere piste sbagliate?

La gente non sa più che pensare. Un nome viene sussurrato; ma nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente, perché si teme di correre dei rischi.

Il delitto ha scosso violentemente l”opinione pubblica; non è questo il primo omicidio in provincia di cui non si trova l’autore.

Molti esprimono il dubbio che le cose siano andate per le lunghe perché da qualche parte si cerca di coprire qualcuno in alto, che non deve essere colpito.

CAT