Sapeva riconoscere quel puzzo che rivela la presenza della mafia

Giovanni Spampinato raccontava la verità e lo faceva senza diffamare nessuno, segnalando il puzzo di mafia che alcuni siciliani avvertono fin da giovani, e che lui conosceva perché aveva nel Dna la cultura della responsabilità , e perché lavorava “con quei matti” de L’Ora, che si divertivano a fare un giornale di denuncia duro come la roccia. Suo fratello Alberto ha raccontato in un libro il coraggio di questo giovane giornalista assassinato nel ragusano, ha descritto il forte e profondo dolore dei familiari che subirono la violenza dell’omicida e il parossistico tentativo dei suoi influenti genitori di liquidare l’assassinio di un cronista di 25 anni come la morte di un cane rabbioso, riportando quel clima alla mafia, ad un miscuglio di insabbiamenti, depistaggi, contrabbando, traffici illeciti, trame nere e ad oscuri moventi e sentenze di favore per coprire l’omicidio di un bravo giornalista.

Era un ragazzo che voleva scrivere semplicemente la verità

Era un ragazzo, non desiderava diventare un eroe, voleva semplicemente cercare la verità e scriverla. Giovanni Spampinato non era un ingenuo, ma a 25 anni non immaginava che la verità potesse costare la vita. Neanche i suoi genitori, suo fratello e la sua fidanzata potevano immaginarlo, a Ragusa, nella Provincia Babba che ancora non conosceva la criminalità e la mafia. Dietro le spesse lenti da miope, i suoi occhi avevano già letto Marx e studiato Gramsci, ma soprattutto esaminavano l’inquietante realtà di quei primi anni Settanta. Sognava di andare fino in fondo in una storiaccia tra delinquenza comune e oscure complicità politiche. L’Italia, si sa, non è mai stato un paese per giovani coraggiosi.Non lo era ieri, non lo è oggi. Continua a leggere

Dicono ancora “fu colpa del giornale” e altre frasi inaccettabili

Trieste, febbraio 2010 – Una sera un giornalista viene ucciso a colpi di pistola si sa da chi, e anche perché, e dopo trent’anni spunta un magistrato di quella stessa città (Ragusa) a dichiarare che alla fin fine, di fatto, colpevole dell’evento sarebbe stato il giornale per cui quel cronista lavorava – il quotidiano “L’Ora” di Palermo – il quale si desume lo avrebbe… come si dice, in questi casi? istigato potrebbe essere il termine giusto? (…) Ma insomma, cosa stava facendo quel giornalista se non il mestiere che ai giornalisti appartiene? Cercare cioè di documentare e raccontare quel che la gente non sa e invece dovrebbe sapere su quanto di losco e delinquenziale accade fra le pieghe di una parte connivente di società. Continua a leggere

Luciano Nicastro: “Basta ipocrisia sulla morte di Giovanni”

Ragusa, 8 gennaio 2010 – Il caso Spampinato giace ancora velato e derubricato nella nebbia della prima ora, ma Giovanni  ritorna con forza oggi dai suoi amici fraterni e nella sua Ragusa a far sentire la voce delle sue ragioni e il senso del suo estremo sacrificio. La nostra coscienza, ora come allora, si è fatta più inquieta e ricerca con più decisione la luce di una verità più complessiva.

Il nostro Giovanni non doveva morire! La sua lotta e la sua ricerca della verità erano fatte in nome collettivo, al nostro posto. E’ amaro constatare che da quel lontano 1972 sino ad oggi quell’assassinio ingiusto e crudele, criminale e terribile, è stato derubricato a fatto di ordinaria cronaca nera di provincia e inscritto in un contesto di accanimento giornalistico contro l’autore Roberto Campria, figlio del Presidente del Tribunale di Ragusa di allora. Il suo significato è quindi ancora coperto sostanzialmente dalla “prima” velina della verità di un regime politico-giornalistico che si è rivelata comoda perché funzionale all’innocenza del sistema, rassicurante perché continua ad assolvere tutti per la parte svolta. Dobbiamo rifare, come società civile, il nostro esame di coscienza. Noi cattolici per la nostra parte di responsabilità collettiva; il potere giornalistico e politico per le sue corresponsabilità, complicità e connivenza. Continua a leggere

Giovanni Spampinato nel tunnel della Sicilia segreta

29 settembre 2009 – Lo storico Giuseppe Casarrubea ha pubblicato sul suo blog una interessante lettura critica del libro “C’erano bei cani ma molto seri”. Di seguito alcuni brani e il link per leggere il testo integrale.

Casarrubea è uno storico di riconosciuto prestigio. Recentemente ha pubblicato due libri importanti per conoscere il lato in ombra della recente storia della Sicilia: il più recente “Lupara  nera – La guerra segreta alla democrazia in Italia 1943-1947″, Bompiani”, scritto insieme a Mario J. Cereghino, e  la “Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra”, Bompiani 2005.

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Nel 1972 Ragusa era un paradosso, e lo è ancora

Ragusa, 2 settembre 2009 – Il libro “C’erano bei cani ma molto seri” di Alberto Spampinato racconta una storia intrisa di verità che s’innesta sul tema del ricordo e, per converso, dell’oblio. Verità e ricordo paiono essere i temi conduttori della storia di Giovanni Spampinato, corrispondente ragusano dell’ Ora di Palermo, assassinato perché passionale, vivo, pensante. La verità di Giovanni e il ricordo di Alberto.

L’intera vicenda del cronista ragusano è affidata alla penna del fratello Alberto che ne delinea le forme, fatica e lascia apparire quella tensione di chi non vuole ricordare ma deve testimoniare. È la scrittura della verità che al tempo stesso si rivela e si nasconde, è alla portata di tutti ma è offuscata da coscienze renitenti omertose. È la verità che Alberto Spampinato distilla, goccia dopo goccia, dalla roccia iblea, dalla provincia apparentemente “babba”, “isola nell’isola”. È superando le proprie paure che Alberto riesce a comprendere quelle della Sicilia, di Ragusa, del fratello Giovanni. Continua a leggere

Giovanni fu garantista perfino col suo assassino

Giovanni Spampinato non aveva scelto la vita comoda né la carriera. Era un cronista irregolare nel senso migliore del termine: ovvero non faceva sconti a nessuno. Non concepiva che si potesse essere corretti e garantisti solo con alcuni. E nemmeno sottomesso e accondiscendente con i piccoli-grandi potenti del suo mondo. Così il suo destino è stato segnato: ribelle al potere, corretto e garantista perfino con il suo assassino.

A quei tempi i politici potenti e i magistrati si coprivano a vicenda

 La storia di Giovanni Spampinato racconta una vicenda esemplare. Ci ricorda come funzionava il sistema di potere in Sicilia e nel Sud, nel 1972, quando fu ucciso a Ragusa questo giovane e coraggioso giornalista. Molti magistrati nell’esercizio delle loro funzioni coprivano i ‘signori’ e i potenti della politica, che a loro volta coprivano quei magistrati. Erano anni torbidi anche perché i gruppi eversivi riemergevano, seminavano stragi, tentavano colpi di stato. Dalla sua provincia del profondo Sud, dove lo scontro sociale e politico era stato durissimo, Giovanni denunciò fatti di cronaca politica e di cronaca nera intrecciati e inquietanti. Seguì con scrupolo le pecche delle indagini sull’assassinio di un notabile e le attività più che sospette del figlio fascista di un magistrato. Per quello scrupolo fu assassinato. Nonostante tutto quel che è emerso, i processi non gli hanno reso giustizia.