“Ciò che ho scritto sul caso Tumino si è rivelato puntualmente esatto”

Lettera datata Ragusa, 28 marzo 1972

Cara Angela*,

ti do altri elementi su Quintavalle, elementi che ho raccolto stamattina. Sono convinto che vale la pena andare a fondo nella faccenda, perché il nostro uomo è pieno di contraddizioni, e se il suo passato è burrascoso, il suo presente è, quanto meno, poco limpido. Quello che ho scritto dall’inizio del caso Tumino (quando di Q. non si parlava) nella settimana passata, anche se frutto di illazioni, si è rivelato puntualmente esatto. Avevo scritto che dietro il caso Tumino, c’era qualcosa di molto grosso; e poi, parlando di Delle Chiaie e Quintavalle, ho messo in relazione la loro presenza con il delitto Tumino. Anche qui è venuta la conferma: Quintavalle è stato interrogato, e la sua abitazione ragusana perquisita. Ora lui si mostra preoccupato, e la moglie, poco prima che egli rientrasse a Roma mercoledì (è andato in macchina con uno scagnozzo di Cilia) gli ha telefonato che “c’erano altri guai sul giornale”.

Ma andiamo con ordine. Si chiama Vittorio, a Roma abita in viale (…) e ha uno studio di pittore a Porta San Paolo. Qui è venuto poco prima di Natale, con la moglie e con il figlio Giulio Cesare di 16 anni (quello del tentativo di infiltrazione tra gli anarchici). E’ un tipo molto alto, 1 metro e 90. Da Natale si è allontanato solo per brevi periodi per fare delle scappate a Roma. La moglie e il figlio sono rientrati ai primi di gennaio nella capitale. Dell’altro figlio di cui è stata segnalata la presenza ( un giovane di circa 25 anni coi baffi) non ha mai fatto cenno alla famiglia che ha frequentato assiduamente (persone conosciute casualmente e assolutamente insospettabili).

 

Invece telefonavano, lui e la moglie, giornalmente ad un altro figlio, Gaetano di 21 anni, studente universitario. Ora questo Gaetano sarebbe stato operato di emorroidi, e questo giustificherebbe una sua assenza più lunga del previsto (una settimana). Dice anche di avere due figlie femmine. Sostiene di essere laureato in pedagogia e di avere insegnato disegno e pittura a Roma, Firenze e Tokio (sic!). Dice di essere maestro di karatè. Dice di vivere della vendita dei suoi quadri e ha mostrato assegni di mezzo milione. Ma a volte è costretto a ricorrere a prestiti. Ho visto tre suoi quadri, paesaggi (tra l’altro una chiesa dove si sono svolti i funerali di un suo fratello, e lo studio di Porta San Paolo). Non sono opere d’arte, lo stile è un po’ da cartoline tipo Ottocento, ma mostrano una buona conoscenza della tecnica della prospettiva. Non fa mistero di aver fatto parte della Decima Mas, anzi se ne vanta. Non ha mai fatto il nome di Borghese. Dice di essere stato in carcere (controllare se è stato condannato nel ’46 con Borghese, e per quali reati). Dice di essere nato a Torino, da famiglia vittoriose. Conosce Cilia da vecchia data e l’anno scorso gli ha fatto dono per la campagna elettorale di autoadesivi fluorescenti con la foto di Cilia. Che hanno appiccicato su tutte le insegne stradali..

 

Diceva di essere venuto a Ragusa per costruire un albergo di 250 stanze, con piscina su un terreno dell’avv. Schembari, agrario e fascista. Ma nella zona non si possono realizzare insediamenti turistici, e al comune nessuno da niente del progetto. Dice di avere litigato col figlio di questo Schembari, braccio destro di Cilia, tipo equivoco, perché quest’ultimo temeva che gli fregasse la moglie due mesi dopo il matrimonio, e questa vive a Gela). Dice che farà da padrino al nascituro figlio di Cilia (ma Cilia è separato dalla moglie). Dice anche che rimane a Ragusa perché gli stanno preparando una mostra di suoi quadri.

 

Per la sera del delitto ha un alibi che regge: è stato in compagnia di persone insospettabili dal primo pomeriggio ininterrottamente fino alle 23, mentre il delitto sarebbe avvenuto tra le 19 e le 21. L’articolo su “L’Ora” di lunedì 6 lo ha mandato in bestia e si è mostrato, negli ultimi giorni, preoccupato. Dice che gira molto e che è un giorno qui e l’indomani in America. E’ sbruffone ma su certe cose si controlla. Non ha fatto cenno agli articoli, come non ha fatto il nome di Borghese. Questo quanto so fino a questo momento. Sto raccogliendo altre informazioni a Scicli e Vittoria. Penso che questo tizio sia implicato col traffico illecito di oggetti d’arte e pezzi archeologici, ma che abbia una funzione politica precisa nelle fila neofasciste.

Ciao, ciao,

Giovanni Spampinato

*Angela Fais, segretaria di redazione dell’Ora, si era appena trasferita a Roma. Svolgeva lo stesso lavoro per Paese Sera

vedi la precedente lettera datata 11 marzo

“E’ come camminare su un campo minato”

Lettera datata Ragusa, 11 marzo 1972

Cara Angela*,

eccoci a noi. Ti dico subito di cosa ho bisogno e così poi possiamo passare ad altro. Compagni di Siracusa mi hanno fatto notare che il Quintavalle che è qui a Ragusa era forse implicato nel crack finanziario di Valerio Borghese. Ora penso che per voi a Roma non dovrebbe essere difficile avere sue notizie. Lui ha affermato che nella capitale faceva il professore di disegno o pittura in un istituto artistico (è riuscito a “‘mpicari” qualche quadro anche qui). Ha un paio di figli, o forse più.

Mi hanno detto di svolgere indagini qui e a Vittoria, perché forse è nativo delle nostre parti (lui afferma di essere marchigiano, forse di Ancona). Se so altre notizie (dati anagrafici, ecc.) ti telefono senza dare troppo nell’orecchio. Qui a Ragusa e Siracusa, i fascisti sono irritati e preoccupati. Cilia ha fatto cenno a una querela che suoi camerati avrebbero intenzione di fare perché ho detto che sono vicini ai trafficanti di droga.

Una querela l’ha presentata il giudice Campria, per il caso Tumino (perché ho scritto che il figlio di un magistrato era sotto torchio). Come vedi va tutto bene. Con Giacomo si lavora alla perfezione, certo resta sempre il problema economico, il lavoro mi assorbe molto e rende poco. Ieri Nino G. mi ha accennato alla possibilità di una mia utilizzazione a Catania, sempre come collaboratore. Dovremmo parlarne con più precisione. Certo che, in un modo o nell’altro, debbo trovare una sistemazione che mi consenta un minimo di indipendenza economica. E questo, stando a Ragusa, non credo sia possibile. Tra l’altro, ho la ragazza che studia a Roma, e il fatto di vederci solo nelle feste crea problemi. Comunque, non so proprio cosa farò.

In questi ultimi tempi, grazie al continuo impegno, sono piuttosto su di morale, ma a volte per lunghi periodi mi sento intrappolato e non vedo prospettive. Ti scrivo queste cose anche perché tu mi hai spinto a farlo. E, dato che ci sono, ti chiedo un consiglio: secondo te cosa mi conviene fare, stare a Ragusa, andare a Catania o venire a Roma? Ma a Roma non saprei proprio cosa fare. Tu che dici?

Cara Angela, torniamo al lavoro. Forse mi sono buttato troppo a corpo morto su questa faccenda e può essere rischioso, perché è come camminare su un campo minato. Però credo che ne valga la pena perchè qualcosa sotto c’è e di non poco conto. E allora, tanto vale andare a fondo, per evitare di essere presi alla sprovvista.

A Roma come ti trovi? L’ultima volta che ci siamo visti a Palermo eri molto contenta di questo trasferimento. Contaci pure, se vengo a Roma ci sentiamo e ci vediamo e potremo parlare un po’. Dovrei iscrivermi all’albo, ma nessuno ancora mi ha saputo dire esattamente cosa debbo fare. Ciao

Giovanni Spampinato – Ragusa

Ultimora: Quintavalle è stato interrogato in relazione al caso Tumino. Sempre più emozionante!

*questa lettera è indirizzata ad Angela Fais, segretaria di redazione di Paese Sera, a Roma.

Trieste ricorda Anna Politkovskaja. Ragusa dimentica Giovanni Spampinato

Nel capoluogo giuliano, alla presenza del segretario FNSI Franco Siddi, è stata inaugurata una Sala Stampa del Comune dedicata alla giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006. A Ragusa è stata chiusa la Sala Stampa della Provincia dedicata a Giovanni Spampinato, il corrispondente dell’Ora ucciso nel 1972. Era stata inaugurata nel 1995 dall’allora presidente dell’Ordine dei Giornalisti Mario Petrina (vedi le foto della cerimonia)

Ragusa, 30 aprile 2012 – Venerdì 27 aprile a Trieste, nel corso di una cerimonia pubblica, è stata inaugurata la nuova sala stampa del Comune, intitolata alla giornalista russa Anna Politkovskaja, assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006, divenuta un simbolo della battaglia per affermare la libertà di informazione, un nome che si vuole indicare come esempio di coraggio e di impegno professionale. All’inaugurazione hanno partecipato il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, la vice sindaco Fabiana Martini, il segretario generale della Fnsi Franco Siddi e i vertici del sindacato e dell’ordine regionale dei giornalisti.

A Ragusa invece è stata chiusa in data imprecisata e senza darne comunicazione la Sala Stampa “Giovanni Spampinato” inaugurata nel 1995 dall’Amministrazione Provinciale di Ragusa e dedicata, in segno di omaggio, al giornalista di Ragusa, corrispondente dell’Ora e dell’Unità, assassinato 40 anni fa, il 27 ottobre 1972.

La Sala stampa Giovanni Spampinato fu inaugurata il 22 luglio 1995 alla presenza delle autorità locali, del presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, Mario Petrina, e dei genitori di Giovanni Spampinato, con l’impegno di onorarne la memoria. Nel 2007 al cronista di Ragusa è stato conferito il Premio di Giornalismo Saint Vincent speciale alla memoria ”riconoscendo in lui la memoria di tutte le altre vittime” nel campo del giornalismo. La sua figura è stata indicata come esempio di impegno civile e professionale dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e da numerose personalità. “Guai se Ragusa dimentica Giovanni Spampinato”, disse don Luigi Ciotti nel 2009.

”Giovanni Spampinato – dichiarò nel 2007 Giorgio Napolitano – ha onorato la professione giornalistica e i valori di verità, legalità e giustizia. È importante che si rifletta sul giornalismo di inchiesta attraverso la storia dei cronisti come lui che in ogni parte d’Italia hanno offerto significative testimonianze di coraggio professionale, di impegno civile e di dedizione ai principi costituzionali di democrazia e libertà. Queste storie, drammatiche ma esemplari, vanno conosciute come parte essenziale di una memoria condivisa da trasmettere alle nuove leve del giornalismo e alle nuove generazioni”.

Hanno detto di Giovanni Spampinato:

Vittorio Nisticò

L’uccisione di Giovanni Spampinato aggiunse alla storia del giornale L’Ora, e del giornalismo italiano, una pagina autentica, essenziale nella sua semplicità, e insieme epica, da consegnare alla storia nazionale. Era il più giovane e il più promettente dei nostri corrispondenti. Faceva parte della generazione del Sessantotto.
Visse con noi la straordinaria avventura di un cronista impegnato fino al punto di pagare col sangue la sua passione civile e il suo coraggio. Ricordo il nostro titolo a tutta pagina: “Assassinato perché cercava la verità”. Ha cercato la verità “a prezzo di sangue”, sottolineai nel breve editoriale che improvvisai sul bancone della tipografia. La morte di Giovanni scaricò sulla piccola comunità del giornale un altro fardello di dolore e di lutto. Ci colpì mentre eravamo ancora afflitti dai dolorosi fragori del “caso De Mauro”, sparito due anni prima nel nulla. Nel 1960 avevamo perso il giovane e brillante corrispondente da Termini Imerese, Cosimo Cristina…
“Ancora il tragico segno della violenza lungo il duro cammino di questo giornale…” scrissi. Quella constatazione attraversò come un lampo i nostri pensieri e ci accomunò nel dolore e nella fierezza. Sull’onda dell’emozione, i giornalisti di Milano assegnarono a L’Ora il celebre Premiolino. Partecipai alla premiazione al Bagutta insieme a Vincenzo Consolo. Il nostro piccolo giornale visse un attimo di gloria grazie a Giovanni Spampinato. Anche per questo lo ricordo sempre con gratitudine e gli rendo onore insieme alla sua famiglia e alla splendida sinistra di Ragusa, perché Giovanni era figlio dell’una e dell’altra.


Mario Genco, L’Ora 28 ottobre 1972

“Mettiamo anche lui, quest’altro morto nostro, sul conto della Sicilia dell’indifferenza, della collusione e dell’intrigo, dell’agguato e del ricatto: per la parte che in tutte queste cose le compete lo mettiamo sul conto di una parte di questa città, Ragusa, quella dei suoi galantuomini abituati al consenso, al silenzio. Giovanni Spampinato per tenace coscienza e serena tradizione di famiglia si era scelto l’altra parte: coraggio brava gente, adesso almeno lui non parlerà più.

Questo è un omicidio in nome collettivo, e si è andato compiendo per le strade e le piazze, tutte le strade e le piazze di questa città, nelle cancellerie di tribunale, negli uffici della gente che conta, nella città che conta, nei rapporti di polizia, nella trama dei silenzi e delle omissioni”.

Giorgio Frasca Polara

Era un cronista di impegno civile, proteso non tanto al “colpo” professionale che si esaurisce con la vampata di un titolo a nove colonne, quanto piuttosto il servizio che armonizza l’importanza della notizia con la necessità e la cura di una informazione complessiva che è attenta quindi, in primo luogo, alla prospettiva sociale e politica in cui il fatto si colloca.

Emanuele Macaluso

La storia di Giovanni Spampinato racconta una vicenda esemplare. Ci ricorda come funzionava il sistema di potere in Sicilia e nel Sud, nel 1972, quando fu ucciso a Ragusa questo giovane e coraggioso giornalista.
Molti magistrati nell’esercizio delle loro funzioni coprivano i “signori“ e i potenti della politica, che a loro volta coprivano quei magistrati. Erano anni torbidi, era in corso, dopo il ’68 e le grandi lotte sociali del ’69-’70, una controffensiva di destra, non solo sul piano politico, di governo, dato che riemergevano gruppi eversivi che seminavano stragi, uccidevano. Dalla sua provincia del profondo Sud, dove lo scontro sociale e politico era stato durissimo, Giovanni denunciò fatti di cronaca politica e di cronaca nera intrecciati e inquietanti. Seguì con scrupolo le pecche delle indagini sull’assassinio di un notabile e le attività più che sospette del figlio fascista di un magistrato.
Per quello scrupolo fu assassinato. Nonostante tutto quel che è emerso, i processi non gli hanno reso giustizia.

Vincenzo Consolo

In Sicilia l’impegno civile dei giornalisti è stato pagato con una strage di cronisti. Otto morti dal Dopoguerra. Dopo Cosimo Cristina e Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato fu il terzo cronista del giornale L’Ora ad essere eliminato. Scriveva, Spampinato, dei rapporti, nel Ragusano, tra i fascisti e la malavita organizzata. Gli assassinati de L’Ora, un giornale di frontiera che per primo, e da solo, si è occupato dei legami fra mafia e politica, subendo, nella sua sede palermitana, un attentato con bombe. Di mafia e potere politico si occupava L’Ora, ma anche di quel fascismo carsico che di tempo in tempo riemerge, come oggi in questa Italia governata da Berlusconi. Quell’“eterno fascismo italiano”, di cui ha scritto Carlo Levi, contro cui si scontrò Giovanni Spampinato nella sua ricerca di verità, pagando con la vita. La sua storia è simile a quella di tanti altri cronisti,
scrittori, magistrati, umili servitori dello Stato uccisi per il loro senso del dovere civile e della dignità umana.

Luca Telese

Non aveva scelto la vita comoda né la carriera, Giovanni. Era un cronista irregolare nel senso migliore del termine: ovvero non faceva sconti a nessuno. Non concepiva che si potesse essere corretti e garantisti solo con alcuni. E nemmeno sottomesso e accondiscendente con i piccoli-grandi potenti del suo mondo. Così il suo destino è stato segnato: ribelle al potere, corretto e garantista con tutti, perfino con il suo assassino.

Lirio Abbate

Raccontava la verità, Giovanni. Lo faceva senza diffamare nessuno, segnalando il puzzo di mafia che i siciliani imparano a distinguere fin da giovani. Spampinato lo riconosceva perché aveva nel Dna la cultura della responsabilità e perché lavorava “con quei matti” de L’Ora, che si divertivano a fare un giornale di denuncia duro come la roccia. Il libro racconta il coraggio di questo giovane assassinato nel ragusano,ma descrive anche il forte e profondo dolore dei familiari che subirono la violenza dell’omicida e il parossistico tentativo dei suoi influenti genitori di liquidare l’assassinio di un cronista di 25 anni come la morte di un cane rabbioso. Alberto Spampinato ci riporta alla mafia, a un miscuglio di insabbiamenti, depistaggi, contrabbando, traffici illeciti,
trame nere e a oscuri moventi e sentenze di favore per coprire l’omicidio di un bravo giornalista.

Il Foglio, 13 ottobre 2007

Studente e giovane giornalista dell’Ora di Palermo, fu assassinato perché aveva dato una notizia di troppo. Si oppose apertamente a una regola del quieto vivere, pacificamente accettata da molti suoi colleghi che lavorano nelle città di provincia: è meglio lasciare nel cassetto le notizie sgradite ai potenti del luogo.

Belgio. La storia di Giovanni fa il pieno in 5 università

“Avevo sottovalutato l’interesse dei miei connazionali per questa drammatica vicenda siciliana”, spiega Sarah Vantorre, la ricercatrice belga che ha promosso e seguito il tour dell’ ”inchiesta drammaturgia sul caso Spampinato”, rappresentata in forma di recital in cinque atenei del Belgio e all’Istituto di Ciltura di Bruxelles da Danilo Schininà e Giovanni Arezzo. Sarah riferisce le impressioni del pubblico e le confronta con le sue aspettative. (nella foto: Giovanni Arezzo e Danilo Schininà)

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Mio fratello denunciò il sistema tolemaico del giornalismo locale

L’intervento alla presentazione dell’inchiesta drammaturgica “Il caso Spampinato”. Chi te lo fa fare?”, gli dissero alcuni giornalisti di Ragusa. Gli consigliarono di lasciar perdere, di non rivolgere domande sgradite alle persone importanti. (…) Vigeva e vige ancora in molti giornali questa regola e la convinzione che le notizie siano una merce come un’altra, e perciò un giornale sceglie quelle da approfondire e pubblicare in base alla convenienza propria e dei propri amici e sostenitori. E’ un sistema di pensiero arcaico quanto il sistema tolemaico secondo cui tutti i corpi celesti girerebbero intorno alla Terra…. Mio fratello si scontrò con quel sistema…

astrocarta

di Alberto Spampinato – Bologna, 20 marzo 2012 Scorrere il rosario delle vittime dell’ingiustizia è sempre triste, doloroso, crea imbarazzo, fa nascere sensi di colpa, fa venire voglia di strappare dai libri le pagine più strazianti, fa nascere il desiderio di rimuovere i ricordi dolorosi, a cominciare da quelli che ci toccano da vicino. E invece bisogna ricordare e fare conoscere agli altri storie come questa di mio fratello Giovanni. Bisogna ricordare gli affetti che ci sono stati rubati, le persone che si sono giocate la vita per noi, lottando per un ideale, per affermare i principi a cui teniamo. E’ doveroso. E’ istruttivo. E’ utile. Non dobbiamo.cedere alla tentazione di rimuovere e dimenticare. Dobbiamo ricordare questi morti uno ad uno, fare sapere cosa hanno fatto.

Dobbiamo impegnarci a tenere viva la loro memoria. E dobbiamo farlo senza retorica, in modo oggettivo, con un rigoroso lavoro di documentazione. Dobbiamo farlo per noi stessi e per le generazioni che verranno. Le storie dei giornalisti uccisi in Italia mentre facevano con onestà e rigore professionale il loro lavoro fanno piangere il cuore, ma dobbiamo conoscerle, perché contengono profonde verità, insegnamenti per il presente e per il futuro. Sono storie, che hanno la stessa funzione educativa delle favole degli orchi e dei draghi che raccontiamo ai nostri bambini: mettono paura, ma aiutano a capire la vita e a crescere. Chiunque crede che l’informazione giornalistica sia una infrastruttura essenziale della democrazia deve conoscere queste storie e afferrare il senso di tragedia collettiva che esprimono.

Ficcanaso e provocatore

Giovanni Spampinato era un giovane giornalista della migliore scuola e mentre faceva il suo lavoro di cronista fu accusato di essere un ficcanaso e un provocatore. Faceva domande sacrosante che davano fastidio: non piacevano a gente potente abituata a stabilire d’imperio cosa i giornalisti possono scrivere e cosa invece, per loro convenienza, dovrebbero fingere di non sapere. Giovanni fu ucciso perché non accettò questa pretesa. Faceva domande sacrosante applicando i canoni del giornalismo che fanno prevalere sempre l’interesse generale, l’interesse dei cittadini a conoscere la verità.Giovanni aveva 25 anni.

Da tre anni scriveva per L’Ora. Alcune inchieste clamorose avevano rivelato il suo talento. Quando fu accusato di essere un ficcanaso non capì come altri giornalisti potessero permetterlo e, sfogandosi con me, disse: “Qui la stampa è un’associazione di omertà controllata”. Parlava di un malinteso senso del giornalismo che fa accettare le prepotenze. Parlava dell’autocensura, che è la negazione del giornalismo. All’accusa di essere un ficcanaso, obbiettava: come si fa a cercare informazioni senza fare le domande giuste alle persone giuste? Lui consultava le fonti, analizzava i fatti e per chiarire i punti poco chiari faceva domande, e le formulava pubblicamente. Non conosceva altro modo di fare la cronaca. Non concepiva la compiacenza e neppure la sottomissione del giornalista verso i potenti e i notabili. Pensava che un onesto giornalista, in quanto rappresentante collettivo della pubblica opinione, abbia l’investitura per trattare alla pari i potenti. Aveva una concezione sociale del giornalismo e faceva il suo lavoro con impegno ideale. Perciò continuò a comportarsi come riteneva fosse giusto: come gli avevano insegnato alla grande scuola del giornale L’Ora. Perciò, di fronte a un efferato omicidio non esitò a porre domande sul comportamento di notabili e potenti della sua città.

“Chi te lo fa fare?”

“Chi te lo fa fare?”, gli dissero alcuni giornalisti di Ragusa. Gli consigliarono di lasciar perdere, di non rivolgere domande sgradite alle persone importanti. Loro si regolavano così: censuravano le notizie sgradite a notabili, potenti e amici del loro giornale e non avevano mai problemi! Si vantavano di agire così. Per prudenza, per quieto vivere, per non avere grane e, allo stesso tempo, per compiacere i direttori dei loro giornali e le persone a cui facevano queste riverenze. In effetti agire così evitava fastidi e faceva guadagnare titoli di amicizia e benemerenza presso i redattori e i caporedattori dei loro giornali, che sceglievano le notizie da pubblicare con un criterio di prudenza e di convenienza. Il giornale L’Ora non si regolava così, ma questa era la prassi negli altri giornali siciliani, e tuttora in gran parte lo è. Vigeva e vige ancora in molti giornali questa regola e la convinzione che le notizie siano una merce come un’altra, e perciò un giornale sceglie quelle da approfondire e pubblicare in base alla convenienza propria e dei propri amici e sostenitori. E’ un sistema di pensiero arcaico quanto il sistema tolemaico secondo cui tutti I corpi celesti girerebbero intorno alla Terra.

L’eresia

Giovanni era uno dei contestatori di quel sistema tolemaico, del teorema secondo cui le notizie gravitano intorno agli interessi commerciali, politici e relazionali dell’editore. Giovanni pensava che le notizie devono gravitare intorno all’interesse dei cittadini. Insomma, Giovanni, in questo senso, era un copernicano quanto lo erano i suoi colleghi della redazione dell’Ora e i giornalisti più illuminati della sua epoca che facevano tesoro della dimostrazione della rotondità del globo fatta da Galileo Galilei con il suo cannocchiale. Ma a Ragusa, in quanto galileano Giovanni fu sospettato di eresia, come lo fu all’inizio del Seicento l’astronomo Giambattista Odierna che professava le idee di Galileo e si salvò dall’accusa di eresia lasciando Ragusa.Giovanni invece restò a Ragusa a combattere la sua impari battaglia. Non lasciò perdere. Continuò a fare domande e a scrivere articoli in cui elencava le domande più inquietanti riguardo a un misterioso omicidio. Perciò gli altri giornalisti lo trattarono come un eretico, e le persone infastidite dalle sue domande si sentirono autorizzate a trattarlo come un ficcanaso, e i più forti lo accusarono di essere un provocatore.

La sfida di Giovanni durò sei mesi. Si concluse il 27 ottobre 1972, quando il suo assassino lo attirò in un tranello e lo uccise a bruciapelo con due pistole che si era procurato appositamente. Poi si costituì dicendo: mi ha provocato, mi ha distrutto moralmente e io l’ho distrutto fisicamente. Al processo, la tesi della provocazione fu il cavallo di battaglia dei difensori dell’assassino, che non si fecero scrupolo di denigrare la vittima, di dire che non era un giornalista, ma un ficcanaso, uno che non si faceva i fatti suoi.La tesi era assurda, ma fu accettata, perché l’assassino era figlio di un giudice e a giudicarlo c’erano dei giudici che avevano dei figli e forse per questo furono molto comprensivi. Riservarono all’assassino un trattamento paterno e, alla fine, gli concessero tutte le attenuanti possibili e immaginabili, compresa quella della provocazione. E in cosa consisteva la provocazione?

Negli articoli di cronaca che Giovanni Spampinato aveva pubblicato, nelle sue documentate inchieste, nell’attività giornalistica che lo aveva portato a porre tante domande. Insomma, la provocazione consisteva nel suo mestiere di giornalista galileano.Anche fra i magistrati c’era qualcuno che non credeva all’assioma del Sole che gira intorno alla Terra. C’era, ad esempio, il procuratore generale di Catania, Tommaso Auletta, che al processo d’appello, pronunciando la requisitoria, chiese invano: “Se un giornalista non fa quel che ha fatto Giovanni Spampinato, ditemi, perché esistono i giornali?”. La domanda fu considerata una provocazione e non ottenne alcuna risposta. La giuria non ne tenne conto: la sentenza ridusse infatti la pena dell’assassino sentenziando che era stato provocato. Dunque per avere cercato la verità su un omicidio con le domande che in questi casi fanno i bravi giornalisti, Giovanni fu ucciso e per trent’anni è passata la tesi che non fosse stato un giornalista, ma un ficcanaso e un provocatore.

Trentacinque anni dopo

Poi, nel 2007, quando della vicenda di Ragusa si era perso quasi il ricordo, da uno dei più autorevoli fori del giornalismo italiano arrivò la risposta a quella provocatoria domanda del giudice Tommaso Auletta: nel 2007, alla memoria di Giovanni Spampinato fu assegnato il Premio Saint-Vincent di Giornalismo, il premio di giornalismo più prestigioso d’Italia. Dunque fu riconosciuto, e nel modo più solenne, che era un giornalista. Da quel momento ha avuto inizio una riabilitazione della sua memoria, almeno in alcune parti d’Italia e del mondo, mentre in altre parti del globo il Sole continua a girare intorno alla Terra, Giovanni resta un ficcanaso e in quei luoghi le autorità costituite non osano pronunciare in pubblico il nome di Giovanni Spampinato in quanto eretico e provocatore.

All’inizio non capivo perché la città natale di Giovanni non ha per lui la stessa considerazione che altre città natali riservano ai loro giornalisti uccisi a causa del loro lavoro, a giornalisti che si sono distinti per le stesse doti di coraggio e di imprudenza professionale. E’ vero, anche la memoria di altri giornalisti uccisi è oscurata e indegnamente dimenticata come quella di mio fratello, e non è giusto. Ma è anche vero che per tenere desta la memoria di numerosi altri giornalisti uccisi vengono promossi convegni e manifestazioni pubbliche alle quali intervengono gli amministratori ed i più alti funzionari pubblici. Perché alcune comunità che hanno subito così gravi ferite non sentono il dovere di ricordarle le loro vittime?

All’inizio pensavo che fosse solo una distrazione non ricordare pubblicamente Giovanni, ma adesso so che non é così. Adesso so che a Ragusa, dopo 40 anni, la morte di Giovanni è ancora una ferita aperta. Giovanni rimane un eretico, un personaggio da dimenticare. Le istituzioni pubbliche hanno fatto perfino dei passi indietro rispetto all’impegno di ricordarlo. E’ così. E’ triste. Ma io non dispero: il tempo farà giustizia.

Anche Galileo Galilei è stato a lungo bistrattato. Ma alla fine è stato riabilitato dalla stessa Chiesa che lo aveva condannato, anche se ci sono voluti 350 anni. Ho fiducia che anche il sistema tolemaico dell’informazione prima o poi sarà disconosciuto dappertutto: spero solo che non ci vogliano 350 anni!Nella valutazione di queste cose la magistratura ha fatto più passi avanti di certe amministrazioni cittadine. Credo che ai nostri giorni nessun Tribunale italiano oserebbe qualificare come atti provocatori gli articoli di cronaca di un giornalista. Quei tempi sembrano tramontati per sempre. Qualcosa di profondo è cambiato da allora, ma altre cose purtroppo stentano ancora a cambiare ed è necessario incoraggiare e sollecitare l’adeguamento agli standard più avanzati della nostra civiltà. Questi sono alcuni dei miei dubbi e delle mie speranze. Ne ho altri. Chi vuole conoscerli tutti può leggere il mio libro-confessione: C’erano bei cani ma molto seri- Storia di mio fratello Giovanni ucciso perché scriveva troppo, Ponte alle Grazie, 2009.

Alberto Spampinato

AUDIO. Marsala. “Io e mio fratello Giovanni”

radio_itacaIl 27 ottobre 2011, Radio Itaca di Marsala, ha dedicato la prima puntata del programma “Itaca ricorda” a una ricostruzione della storia di Giovanni Spampinato, nel 39° anniversario della sua uccisione. Michaela Di Caprio e Vincenzo Figlioli hanno letto brani del libro di Alberto Spampinato “C’erano bei cani ma molto seri”, Sperling e Kupfer 2009, e hanno intervistato l’autore. “Itaca ricorda” è uno spazio di memoria e impegno civile nato da un’idea di Michaela Di Caprio per assolvere il dovere di ricordare e far conoscere protagonisti, vittime, eventi della nostra storia civile, eventi e personaggi che non dobbiamo dimenticare mai se vogliamo tenere desta la coscienza sociale.

Ascolta la puntata

Delitto Tumino. Nessun elemento per riaprire le indagini

Verso archiviazione pista romanzesca indicata da lettera anonima 

(…) Parliamo dl un incubo che la coscienza ragusana si trascina da decenni: il caso Tumino-Spampinato. Ci sono i presupposti per riaprire l’inchiesta?

La riapertura delle indagini è codificata dal Codice di procedura penale che richiede nuovi elemnti. Ora, sul delitto Spampinato si e avuta una condanna ed è un caso chiuso. Sì, si potrebbe andare alla ricerca di altri scenari, ma è necessario che emerga una pista, che in questi due anni pero non si è avuta. Se precedentemente qualche pista c’è stata ed è stata valutata negativamente cosi doveva evidentemente essere. Quanto al delitto Tumino l’unica cosa nuova che mi è pervenuta è una ricostruzione degna di una fiction, che probabilmente è pure veritiera ma è assolutamente impraticabile. Qualcuno l‘ha veicolata attraverso una figura istituzionale. Si tratta un testo anonimo, scritto su carta leggera con una Lettera 22, che affida ogni prova alla memoria di persone morte. e quindi non verificabili. Continua a leggere

Memoria. Cesare Zipelli due anni dopo: giornata studio a Ragusa

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Sabato 25 giugno 2011 a Ragusa Ibla, alle ore 10 presso il Teatro Donnafugata, in Corso 25 Aprile, si svolgerà una Giornata di Studio su Cesare Zipelli, scomparso due ani fa all’età di novant’anni. L’iniziativa è stata promossa dalla sezione di Ragusa di Italia Nostra, per ricordare la multiforme personalità di Zipelli, che fu ingegnere, dirigente industriale e insieme umanista, collezionista d’arte, protagonista della vita politica e sociale di Ragusa per oltre cinquant’anni, e da ultimo il generoso donatore delle sue preziose collezioni a varie istituzioni allo scopo di mantenerne l’unità e consentirne una fruizione pubblica.    Al convegno, le autorità cittadine e il Vescovo Paolo Urso porteranno un saluto. Fra gli altri prenderanno la parola la professoressa Grazia Dormiente e il giornalista Alberto Spampinato.