E' morto a 90 anni. Se ne va un protagonista del sogno di sviluppo industriale di Ragusa nel dopoguerra.

Zipelli, l’ingegnere che collezionava musei e ricordi
Il ricordo di Alberto spampinato

Sabato 13 giugno 2009, all’età di novant’anni, è scomparso a Ragusa l’ingegnere Cesare Zipelli, direttore storico dello stabilimento ABCD dal 1951 al 1964, protagonista delle battaglie per la difesa del patrimonio storico artistico e architettonico della comunità iblea, grande collezionista di opere d’arte e mecenate. Lo ricordiamo con queste parole di Alberto Spampinato, quirinalista dell’Agenzia Ansa, che negli ultimi mesi ha raccolto in una intervista-fiume le memorie di Zipelli e sta realizzando un libro e un documentario sulla entusiasmante fase dell’industrializzazione di Ragusa del Dopoguerra. Una stagione , di cui Zipelli fu protagonista, che va dalla ristrutturazione dalle cave di asfalto, alla costruzione del cementificio, alla scoperta del petrolio, alla realizzazione di una delle prime fabbriche italiane di plastica. E’ la stagione della prima industrializzazione, dalla quale nacque una classe imprenditoriale locale e dalla quale scaturì indirettamente la vera rivoluzione produttiva del ragusano: quella delle serre.

Cesare Zipelli, Rino per i familiari e gli amici, era figlio di un ufficiale di Marina e di una maestra ostetrica. Era nato a marzo del 1919 a Messina, nel cuore della città, proprio nella Falce dello Stretto. Con quel padre e a contatto con le mitiche acque di Cola Pesce, era diventato un nuotatore provetto. Era un campione che a sedici anni, e poi negli anni dell’Università, concorreva alle finali nazionali. Per questo curriculum di campione, nel 1942, mentre serviva in Marina da sottufficiale in una fabbrica di siluri, fu convocato a La Spezia dal principe Junio Valerio Borghese che era il comandante della mitica flottiglia motosilurante Decima Mas e voleva arruolarlo a tutti i costi per compiere le missioni più spericolate. ‘’Per fortuna si accorsero che ero un po’miope e portavo gli occhiali, e mi scartarono”, raccontava, convinto di essere sfuggito a un tragico destino. Rino non aveva una formazione politica definita, a differenza di tanti suoi coetanei e dopo l’8 settembre del 1943 non partecipò alla Lotta di Liberazione. Rientrò a Messina e dopo la guerra, riprese gli studi di ingegneria mineraria trasferendosi all’Università di Roma, dove si laureò nel 1946. C’era grande fame di ingegneri. Una settimana dopo la laurea fu assunto. Due mesi dopo sposò Doris, una sua compagna di studi di Messina dagli occhi dolci e il viso ovale della quale si innamorato a prima vista qualche anno prima. Rino aveva 27 anni. Per lavoro si trasferì a Scafa (Pescara), poi a Vibo Valenzia, infine a Ragusa,

Per il capoluogo ibleo provò subito un misto di amore-odio. Odiava l’arretratezza sociale e detestava l’arroganza e il cinismo dei “cavalieri” che trattavano operai e braccianti come servi della gleba. E’ straordinaria la sua descrizione del clima di quegli anni, in cui imparò ad amare la semplicità e l’onestà della gente e la bellezza del luogo. Era il 1950 quando vi mise piede per la prima volta, giovane ingegnere in missione speciale segreta per conto della società per la quale aveva cominciato a lavorare appena laureato, la Calce e Cementi  di Segni che comprò la società Abcd, che rischiava di chiudere, e la unificò con altre imprese che sfruttavano le cave di asfalto.
Ragusa diede grandi soddisfazioni al giovane ingegnere, che non riuscì più ad allontanarsene. A 31 anni fu nominato direttore della nuova ABCD con l’incarico di ristrutturare le arcaiche cave di asfalto e gli impianti per la produzione di bitume, smantellando quelli che durante l’autarchia fascista erano stati costruiti per produrre una benzina sintetica chiamata “motorina” che costava un occhio della testa e serviva a far marciare i carri armati. Zipelli creò condizioi di lavorò più umano nelle cave, applicò agli ioperai i contratti di lavoro nazionali (“fu una vera ricoluzione!”, diceva) e costruì un grande cementificio che sfruttava un brevetto innovativo.

Entrò in funzione, nel 1953, fu il primo cementificio della Sicilia e fece subito affari d’oro, al punto che il gruppo Bomprini Parodi Delfino, che ne era proprietario (attraverso la Calce e Cementi) ed era uno dei maggiori gruppi industriali italiani della prima metà del Novecento, incaricò Zipelli di raddoppiare gli impianti, e un paio d’anni dopo di raddoppiarli ancora… Furono anni felici per l’occupazione.  Anche perché alla periferia di Ragusa, proprio nella zona mineraria dell’Abcd, a due passi dallo stabilimento e dall’ufficio di Zipelli, alla fine del 1953 un gruppo americano, la Gulf Oil, trovò un giacimento di petrolio che fece sognare un futuro texano: un mare di petrolio, benessere, ricchezza, lavoro per tutti… Le cose andarono proprio così, in effetti, ma solo per qualche anno.

Anche Zipelli e la sua Abcd sognarono un avvenire legato al petrolio. Si allearono con gli americani della Gulf Oil , una delle Sette Sorelle del cartello petrolifero, contro l’Eni di Enrico Mattei, che rivendicava all’azienda di Stato lo sfruttamento e la lavorazione dell’oro nero di Ragusa. Inoltre nel 1960 l’Abcd di Zipelli realizzò un impianto industriale modello di assoluta avanguardia, il secondo in Italia per la produzione di materie plastiche (polietilene a bassa densità) e un impianto di cracking (che produceva gas etilene dal petrolio) che destò l’ammirazione dei tecnici di tutto il mondo. Ma qualche anno dopo l’Abcd perse il braccio di ferro con L’Eni e quell’impianto ed altri furono rottamati, l’occupazione ridimensionata e molti progetti di sviluppo accantonati

Questa storia coincide con gli anni della mia vita. Mi ha sempre appassionato. E’ stata un’esperienza davvero straordinaria riviverla, nei mesi scorsi, attraverso i ricordi lucidi, precisi, appassionati dell’ingegner Zipelli, testimone e protagonista di primo piano delle vicende che in quei decenni fecero brillare la sperduta Ragusa come una perla di eccellenza sul tessuto amorfo di un Mezzogiorno senza risorse, senza lavoro, senza futuro, dal qualei in due decenni un abitante su quattro fu costretto a emigrare. Ragusa ebbe un altro destino. Sfuggì all’emigrazione che affliggeva le aree circostanti e decimava la popolazione in età lavorativa. Ragusa anzi attirò lavoratori dalle altre province dell’Isola. Il suo sviluppo accelerato e la sua trasformazione sociale furono oggetto di studi econometrici e sociologici.

Cesare Zipelli fu direttore dell’Abcd dal 1950 al 1964. In questa funzione, fu uno degli artefici delle scelte di quegli anni. Sia pure nella funzione del tecnico, fu a lungo uno degli uomini più potenti di Ragusa. Restò tale fino al 1964, quando tentò, senza riuscirci, di opporsi allo sbarco a Ragusa dell’Eni che acquistò l’Abcd e il petrolio della Gulf Oil e, come avevano previsto lui e altri dirigenti, fece a piazza pulita di tutti i progetti di potenziare il polo industriale di Ragusa. Zipelli lasciò l’Abcd e andò via da Ragusa per qualche anno. Lavorò all’Italcementi con incarichi di prestigio (vice direttore generale). Poi cedette al canto delle sirene. Tornò a Ragusa per progettare e dirigere una fabbrica di manufatti in cemento a Modica, creata con fondi regionali. Si dimise quando ancora lo stabilimento era in costruzione perché i soldi destinanti a costruire gli impianti venivano utilizzati a sua insaputa per assumere centinaia di dipendenti che non avevano nulla da fare. I notabili della Dc che erano nel consiglio di amministrazione lo denunciarono, ma persero la causa. Cesare Zipelli, che era di idee liberali, si trovò al fianco solo il Pci (in particolare l’on. Giorgio Chessari) e da quel momento si avvicinò al partito di Enrico Berlinguer, che lo candidò al Parlamento nazionale, ma  non fu eletto. Il Pci lo nominò allora fra i suoi rappresentanti nel consiglio di amministrazione dell’Ente Minerario Siciliano presieduto da Giuseppe D’Angelo. La politica causò a Zipelli entusiasmi e delusioni e lo fece restare in scena da vero protagonista fino a pochi anni fa. Il suo ultimo incarico è stato quello di presidente dell’ASI.

Negli ultimi anni non esercitava vero potere ma una grande influenza. Infine, ultraottantenne, si ritirò a vita privata e si buttò a capofitto nell’impresa di sistemare le sue vaste e preziose collezioni d’arte. Era intento in queste incombenze, sabato 11 giugno, quando è stato colto da una crisi cardiaca. Se n’è andato in poche ore. A marzo del 2009 le autorità di Ragusa avevano festeggiato pubblicamente i suoi novant’anni, ma non erano riusciti a fargli il regalo a cui teneva sommamente: la pubblicazione delle sue memorie, che raccontano da un punto di vista di primo piano vicende e personaggi che incrociano le vicende storiche del Novecento, a cominciare dalla controversia pubblico- privato per lo sviluppo della Sicilia nel Dopoguerra. I ricordi di Zipelli rievocano anche le battaglie degli anni Sessanta-Settanta  a Ragusa, da fondatore e presidente di Italia Nostra, per salvare il centro storico e le zone archeologiche dallo scempio della speculazione edilizia e per valorizzare e conservare i beni storici, paesaggistici e artistici iblei. Non a caso Zipelli fu a lungo sovrintendete archeologico onorario e fondatore del Museo Archeologico. Negli ultimi anni Zipelli ha lottato soprattutto contro gli acciacchi, sempre più dolorosi e che ormai quasi gli impedivano di camminare e lo tormentavano anche quando stava seduto.

La vita gli aveva sorriso, gli aveva dato grandi soddisfazioni, ricchezza, successo, pubblici riconoscimenti. Ne era consapevole e orgoglioso. Ma non riusciva a rassegnarsi alla perdita della moglie, scomparsa due anni fa dopo una devastante malattia che aveva cancellato il suo mitico sorriso. Da allora anche il sorriso di Rino si era spento. Doris era la luce dei suoi occhi, era stato l’amore della sua vita dal primo momento che l’aveva incontrata, a 21 anni, studente, all’università di Messina. Lui avrebbe seguito Doris anche nell’altra vita, non fosse stato per il compito che ancora lo attendeva e al quale da quel momento si è dedicato con tutte le forze: sistemare nel modo migliore i pezzi più importanti delle sue collezioni storiche e d’arte raccolte copiosamente nel corso della vita e per le quali, lui che non aveva avuto figli, aveva un attaccamento e un affetto paterno.

Aveva raccolto quei pezzi uno per uno e li aveva messi insieme perché insieme facevano un discorso. Non voleva che alla sua morte quelle famiglie di oggetti fossero disperse per venderne i pezzi al miglior offerente uno per uno. Perciò in questi anni ha accasato le varie collezioni, valutando per ognuna il pretendente più affidabile, proprio come se avesse dovuto trovare marito alle sue figlie femmine. Negli ultimi mesi aveva piazzato generose donazioni presso banche, fondazioni, università e musei di varie parti  d’Italia. Aveva deciso di tenere presso di sé solo i pezzi più importanti, quelli dai quali non riusciva proprio a staccarsi, mi confidò una volta. Non era stata una scelta felice. I ladri ne hanno approfittato a più riprese, nei mesi scorsi. Ma per fortuna ormai la gran parte della sua “collezione di collezioni”, come mi sembra corretto definirla, era stata affidata ad altri, messa nelle mani di istituzioni che si sono impegnate a custodire le opere, a sottrarle al mercato e a garantirne la fruizione pubblica. Il vecchio Rino aveva compiuto la missione con l’efficienza dei suoi anni migliori.

Nel suo  cuore restava l’amarezza di aver dovuto disperdere l’intero corpus in vari luoghi, una collezione qui, un’altra lì, per la miopia di una città che non ha compreso il valore ineguagliabile delle sue collezioni, né la sua genialità e il suo mecenatismo di cittadino speciale di grandissimo gusto e competenza, e senza eredi diretti. Col tempo si capirà quale straordinario museo di importanza europea sarebbe potuto nascere a Ragusa semplicemente tenendo insieme le cose che Zipelli aveva raccolto nel corso della sua lunga vita: opere d’arte antiche e moderne, pezzi archeologici, quadri e sculture di ogni epoca provenienti da tutta Europa, ceramiche, le prime carte geografiche della Sicilia, libri, strumenti nautici, fotografie, monete, mattonelle decorate, vasi di Caltagirone, piati ispano-moreschi, e tanti documenti, fra cui le lettere riservate che gli scriveva uno scrittore celebre come Stefano D’Arrigo (Horcynus Orca). Un grande tesoro.

Ma il tesoro più prezioso Cesare Zipelli lo custodiva nella mente. Era il suo archivio di ricordi al quale ho avuto la fortuna e il privilegio di poter attingere copiosamente. La scorsa estate sono andato a trovarlo e mentre lo ascoltavo incantato ho avuto la visione catastrofica di un’improvvisa cancellazione di quell’enorme archivio mentale. Perciò subito dopo lanciai l’idea di raccogliere le sue memorie in modo sistematico per fissarle, verificarle insieme a lui, e poi renderle accessibili a tutti come una fonte storica. Misi a punto un progetto. Proposi l’idea agli industriali di Ragusa, che pensavo fossero i più interessati alla figura di un pioniere dell’industrializzazione locale giunto a quella veneranda età. Cercai di coinvolgere anche altre istituzioni. Trovai consenso e vari incoraggiamenti. Ma all’atto pratico nessuno realizzò il progetto, nonostante la salute di Zipelli apparisse sempre più precaria, nonostante lui si fosse appassionato all’idea e si fosse attivato per mettere ordine nei ricordi, e non aspettava altro che di essere intervistato.
A novembre del 2008, Emanuela, mia moglie, tornò a trovare Zipelli. Era legata a lui come a un vecchio zio, perché era stato grande amico del padre, lo scultore Giovanni Biazzo, e ne collezionava – manco a dirlo – disegni, dipinti, piccoli bronzi e le ciclopiche sculture in pietra d’asfalto. Dopo quella visita a Ibla mi disse:  devi andare a intervistarlo, devi andarci proprio tu e subito, o non farai più in tempo. Così quest’inverno, sebbene avessi tante cose da fare, mi trasferii a Ragusa per alcuni giorni e li trascorsi intervistando Cesare Zipelli nella sua straordinaria casa-museo di Ibla affacciata sulla vallata. Gli avevo fornito da tempo una scaletta e una serie di domande. Mi ero armato di carta e penna e di un magnetofono. Ma all’ultimo momento, con una felice intuizione, decisi che dovevo filmare per intero quell’intervista-fiume. Cominciai le riprese con mezzi di fortuna. Poi i miei amici Renzo Lo Presti e Giovanni Meli, dell’Associazione culturale Giovanni Spampinato, che sostennero la mia impresa con ogni mezzo, mi affiancarono la troupe professionale di Vincenzo Cascone (Extempora), che si associò all’impresa con entusiasmo senza alcuna assicurazione che qualcuno avrebbe coperto le spese. La nostra scadenza era il 21 marzo 2008, il giorno del 90.mo compleanno.

Ma non riuscimmo a trovare i soldi per coprire le spese. I finanziatori si eclissarono. Ne stavamo ancora cercando altri quando Zipelli, che aveva promesso di darci una mano, ci ha lasciato. La prima tranche del progetto prevedeva la pubblicazione di un libro di cento pagine e di un documentario di venti minuti. Il materiale, che rispecchia solo una parte del multiforme racconto, era pronto. Zipelli lo aveva visto  Il filmato, corredato da belle immagini di repertorio, l’aveva proprio commosso. Anche la bozza del libro gli era piaciuto. “Vai avanti! Di questa storia tu ormai ne sai più di me”, mi aveva detto compiacendosi. Non era vero, ma era incoraggiante che lui lo dicesse. Credo proprio che andremo avanti, caro Ingegnere.

Alberto Spampinato *
*è l’autore del libro “C’erano bei cani ma molto seri”, Ed. Ponte Alle Grazie, 2009, in cui racconta la vicenda di suo fratello Giovani, corrispondente dell’Ora, ucciso a Ragusa nel 1972, inquadrandola nella storia della sua famiglia e di Ragusa dagli Anni Cinquanta.

(Pubblicato sul mensile Ragusa in Prima Pagina il 6 luglio 2009)